Piramide di paura, prodotto da Steven Spielberg, diretto da Barry Levinson e scritto da Chris Columbus, con Nicholas Rowe e Alan Cox

In questo 2020 cinematografico falcidiato da una distribuzione praticamente assente – eccetto TENET di Christopher Nolan – sono gli Over-the-Top come Netflix e Amazon Prime a rubare la scena. In tempi recentissimi, il colosso di Los Gatos ha rilasciato Enola Holmes, di Harry Bradebeer; lungometraggio sulla sorellina minore di Sherlock (qui incarnato da Henry Cavill) che destato non poche critiche. L’opera tratta dai pastiche letterari di Nancy Springer infatti, ha fatto storcere il naso a molti sherlockiani; a partire proprio dalle caratterizzazioni approssimative di Sherlock e Mycroft: unicamente funzionali allo sviluppo del racconto. Eppure Enola Holmes non è il primo caso di rilettura atipica di Sherlock Holmes. Quella operata da Piramide di paura (1985) ad esempio, è tra le più efficaci e vivaci – forse la più interessante in chiave teen.

Una scena di Piramide di paura
Una scena di Piramide di paura

Enola Holmes, pur avendo ottenuto un consenso quasi unanime tra gli utenti Netflix, è stata citata in giudizio dagli eredi di Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930), L’oggetto del contendere è infatti la dimensione caratteriale emotiva e paterna dell’iconico detective di Baker Street. Una mal-interpretazione che sembrerebbe rifarsi a degli scritti degli anni Venti ancora sotto la tutela del diritto d’autore. Opere in cui, a seguito della perdita del figlio nella Grande Guerra, Conan Doyle avrebbe caratterizzato il suo personaggio-principe in modo più delicato ed emotivo.

Piramide di paura: gli intenti celebrativi

Piramide di paura propone anch’essa una versione emotiva di Sherlock – che va comunque ad attenuarsi con lo sviluppo dell’intreccio. Ma l’opera filmica diretta da Barry Levinson, scritta da Chris Columbus e dove Steven Spielberg figura tra i produttori esecutivi, sin dal disclaimer in apertura e chiusura di racconto, ci ricorda come gli intenti siano unicamente celebrativi.

Una rilettura fantasiosa delle origini della coppia di detective di Baker Street sulla scia di quello che era il trend cinematografico-commerciale dell’epoca; di cui Spielberg e Columbus rappresentano due dei padri artistici. Il cineasta di A cena con gli amici (1982) e Il migliore (1984) si trova infatti a collaborare con coloro i quali hanno realizzato opere come I predatori dell’arca perduta (1981) ed E.T. – L’extraterrestre (1982); ma anche del contemporaneo I Goonies (1985). Un’unione artisticamente eccezionale, che non può che portare a un risultato straordinario.

Il disclaimer di Piramide di paura
Il disclaimer di Piramide di paura

Nel cast figurano Nicholas Rowe, Alan Cox, Sophie Ward, Freddie Jones, Roger Ashton-Griffiths, Anthony Higgins; e ancora Nigel Stock, Susan Fleetwood, Brian Oulton e Matthew Ryan.

Piramide di paura: la sinossi del film di Barry Levinson

Il giovane John Watson (Alan Cox) si trova costretto a frequentare il Bromton College di Londra. Qui, il primo giorno di scuola, nella branda adiacente alla sua fa la conoscenza di Sherlock Holmes (Nicholas Rowe): lo studente più brillante dell’istituto. Presentatisi a vicenda, in cui ognuno di loro mostra le sue tipicità caratteriali, Watson farà presto la conoscenza di Elizabeth Hardy (Sophie Ward); lo zio Rupert Waxflatter (Nigel Stock), professore in pensione; e il Professor Rathe (Anthony Higgins), mentore formativo del giovane Holmes.

Tra rivalità e un susseguirsi di morti misteriosi, Holmes e Watson si ritroveranno a indagare in un “gioco da grandi”; svelando la coltre di una potentissima società segreta tra sortilegi, sacrifici umani e allucinazioni da incubo.

Nicholas Rowe nei panni di Sherlock Holmes
Nicholas Rowe nei panni di Sherlock Holmes

Il giovane Sherlock Holmes e una Hogwarts ante litteram

In campo lungo un uomo ben vestito esce dalla sua abitazione. Un’ombra; una donna lo pedina; poi un dardo probabilmente avvelenato. L’uomo entra in un ristorante e inizia ad avere allucinazioni spaventose. Una corsa veloce verso casa, in preda al panico; un soprabito che casca giù e una porta chiusa a chiave. Un volto asciugato; una tuba che salta dall’appendiabiti; serpenti metallici e fuoco in tutta la stanza. Un salto dalla finestra per porre fine all’incubo. Si apre così il racconto di Piramide di paura, un mistero apparentemente inesplicabile avvolto in un ombra che cammina per strada.

Come tradizione sherlockiana, il racconto vive della voce narrante di Watson. In questo caso di un Watson maturo che rilegge il suo passato da pre-adolescente (cucito al volto di Cox), nel primo incontro con lo Sherlock di Rowe. L’inizio della dinamica relazionale, cuore del racconto di Piramide di paura, è infatti rievocatrice dello spirito degli scritti di Doyle: Sherlock che cerca di suonare il violino e si inalbera; Watson che gli dà la pazienza che non ha mai avuto; e una semplice lettura di particolari – marchio di fabbrica del mitico detective:

Alla mente non devi mai concedere riposo, è come uno strumento musicale da accordare, richiede attenzione ed esercizio.”

Nicholas Rowe, Alan Cox e Sophie Ward
Nicholas Rowe, Alan Cox e Sophie Ward in una scena di Piramide di paura

Con il dispiego del racconto, l’allargamento delle dinamiche relazionali primarie e l’assaggio delle prime atmosfere sceniche, ci fanno percepire la valenza filmica di un’opera come Piramide di paura. A partire dal contesto scenico-scolastico, che sembra infatti una Hogwarts ante-litteram fatta di atmosfere spettrali; professori enigmatici; ragazzi brillanti e rivalità come quella tra Holmes e il Dudley di Rhodes: il Draco Malfoy di Columbus e Levinson.

Piramide di paura: la mano di Spielberg, la creatività di Columbus

A emergere, soprattutto, è la rilettura scenica di un giovane Holmes non ancora “perfetta macchina razionale”, piuttosto tendente all’emotività, alla distrazione; al lasciarsi incantare da affascinanti coetanee come la Elizabeth della Ward. Connotazione che trova rimandi in una piccola linea dialogica, dove piuttosto che trovare uno scopo specifico, a Sherlock interessa soltanto “non restare da solo”.

Una scena di Piramide di paura
Una scena di Piramide di paura

Tra inquietanti cavalieri in CG; delitti con tanto di rimando sonoro a Psycho (1960) e sfide tra ragazzotti; Piramide di paura costruisce di sequenza in sequenza la dimensione da astuto detective di Holmes. In simulazioni che l’incedere della narrazione renderanno sfide mortali per un ritmo netto, deciso, con cui passare da giochi tra ragazzi a delitti enigmatici. L’ingresso scenico del Lestrade di Ashton-Griffiths e l’evento luttuoso “più vicino” risultano così essenziali nel lanciare Holmes in un “gioco da grandi”. Una sfida, con sé stesso e per dimostrare qualcosa agli altri la cui chiara impronta teen trova sfumature onirico-narrative: rievocative del contemporaneo Indiana Jones e il tempio maledetto (1984).

La regia di Levinson è certamente efficace e “di mestiere”, ma la mano produttiva e “di scrittura” di Spielberg e Columbus influisce, e non poco, sulla resa scenica. Incidendo così ora nell’uso delle ombre e nel tono teen avventuroso con cui catapultare Sherlock Holmes in un’avventura “alla Indiana Jones; ora nelle creature spaventose degne de Gremlins (1984). Tutti espedienti validi, che trovano sorprendenti conferme nella climax. Sequenza suggestiva nella quale Piramide di paura assurge ad autentico simulacro del cinema avventuroso per ragazzi tra momenti traumatici con cui arricchire la valenza eroica, e quell’improvvisa necessità di diventar grandi da coming-of-age.

La debolezza di Enola Holmes è la forza di Piramide di paura

In una rilettura a posteriori, a trentacinque anni di distanza dal rilascio in sala, e ricollegandolo al sopracitato Enola Holmes; Piramide di paura, riesce in ciò in cui il film con protagonista di Millie Bobby Brown, ha fallito: una rilettura coerente, e valida con sacra mitologia letteraria, cinematografica e televisiva divenuta iconica negli ultimi 120 anni.

Un patrimonio artistico che se la rilettura operata da Bradbeer, butta totalmente alle spalle, Spielberg, Columbus e Levinson, celebrano e preservano; entrandovi in punta di piedi, e nel rispetto della tradizione. Realizzando così un’opera, forse non molto celebrata dai contemporanei, ma che risulta conferma degli intenti di un simile team creativo e al contempo della bontà artistica di un progetto con cui prendere una delle più grandi icone letterarie, per poi traslarla alla contemporaneità e alle estetiche filmiche di riferimento. Un’agire – paradossalmente – che rende Piramide di paura molto più vicino a Mr Holmes – Il mistero del caso irrisolto (2015), che non ad Enola Holmes. Simili intenti, ma polarità dell’espediente diametralmente opposta: Da giovane a vecchio, da Nicholas Rowe a Sir Ian McKellen, Sherlock Holmes vive ancora.