
Tanto tempo fa, prima dell’avvento dei supereroi e della loro affermazione nell’immaginario collettivo, il cinema era la terra prediletta dei grandi miti e di personaggi iconici che, pellicola dopo pellicola, conquistavano i consensi di pubblico e critica fino a diventare fenomeni culturali e leggende assolute riconosciute in tutto il mondo.
Hollywood e lo star system dominavano il panorama produttivo e i meccanismi dell’industria cinematografica, fucina di talenti e di numerose icone divistiche che, grazie alla loro immagine altamente simbolica, riuscivano a donare un quid artistico in più ai lungometraggi, talvolta risollevando le sorti dei prodotti meno brillanti, e diventare una fonte di guadagno sicuro per le major.

Al momento, la lista di attori che sono entrati nella vita degli spettatori e hanno scritto pagine indimenticabili nella storia della settima arte è impossibile da stimare, ma è altrettanto semplice ricordare i nomi di coloro che hanno plasmato il concetto di mito per trasformarlo in leggenda. Tra questi un patrimonio universale del cinema destinato a essere idolatrato in eterno: Kirk Douglas.
Nato ad Amsterdam (New York) il 9 dicembre 1916 da una famiglia di immigrati biellorussi, Kirk, registrato all’anagrafe come Issur Danielovitch Demsky, muove i primi passi a teatro, recitando inizialmente a Broadway per poi passare al grande schermo nel 1946, anno in cui il regista Lewis Milestone lo scrittura per una parte ne Lo strano amore di Marta Ivers. Da quel momento la sua carriera cambiò improvvisamente e la sua fama iniziò a crescere a livello esponenziale: nel 1949 interpreta il ruolo del pugile ne Il Grande Campione di Mark Robson, e due anni più tardi, nel 1951, raggiunge il successo con il western Sabbie Rosse di Raoul Walsh e la consacrazione definitiva con il film di Billy Wilder L’asso nella manica, dove veste i panni di un giornalista avido e senza scrupoli capace di speculare sul dramma di un minatore intrappolato in una miniera.
Il volto scultoreo, dai tratti marcati e perfettamente pronunciati, lo sguardo magnetico e la notevole presenza scenica divennero ben presto un marchio di fabbrica di Kirk Douglas tanto che gli Studios americani, determinati a garantirsi le sue notevoli performance, si facevano la ‘guerra’ per contenderselo.

Ed è così che dopo le collaborazioni con William Wyler (Pietà per i giusti), Howard Hawks (Il grande cielo), Vincente Minnelli (Il Bruto e la Bella e lo strepitoso Brama di Vivere, in cui interpreta il pittore Vincent Van Gogh) e John Sturges (Sfida all’O.K. Corral), Douglas incontra sul suo cammino il geniale Stanley Kubrick, cineasta dal talento inestimabile con cui ha l’onore di lavorare in due lungometraggi. Nel ’57 incarna l’intoccabile colonnello Dax nel film antimilitarista Orizzonti di Gloria e nel 1960 abbandona il fucile per impugnare la spada in quella che certamente rimarrà l’opera più emblematica della sua carriera: il kolossal Spartacus.
