Barbie è una bambola oggetto del patriarcato o è diventata una donna simbolo di una lotta femminista? Scopritelo in questo speciale.
Barbie, il film di Greta Gerwig, è finalmente al cinema e, come era prevedibile, ha profondamente diviso il pubblico. Da una parte c’è chi lo amato ritrovandosi in un messaggio potente di affermazione; dall’altra chi, invece, sembra trovarlo privo di contenuti, finanche a chi ne è talmente spaventato da doverlo screditare.
Si è parlato di tantissime tematiche legate alla pellicola dai toni rosa: patriarcato, femminismo, inadeguatezza, ansia, stress, empatia e riappropriazione del corpo e sono tutte validissime, anzi, sembra più uno spaccato di una mia giornata tipo, ma questa è un’altra storia.
Da molti è definito come un film femminista. Ma cosa significa realmente?
Procediamo con ordine.
Tematiche in pillole
Partiamo dalla base, perché per capire i commenti attorno a questo film bisogna almeno avere un minimo di conoscenza dei termini che si usano. Bello fare sfoggio di paroloni ma è ancora più sexy sapere di cosa si sta parlando. Per farlo vi basta proseguire con la lettura.
Il femminismo è un movimento diretto a conquistare per la donna la parità dei diritti nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali rispetto all’uomo.
Il patriarcato è un sistema sociale in cui gli uomini detengono il potere e predominano in ruoli di leadership politica, autorità morale, privilegio sociale e in ambito familiare, la figura paterna, esercita l’autorità sulla donna e i figli.
Storicamente, il patriarcato si è manifestato nell’organizzazione sociale, legislativa, politica, religiosa ed economica in diverse culture. A questo si contrappone il matriarcato, un sistema basato su un’organizzazione sociale a predominanza femminile.
“Imagination, life is your creation”
Il mondo perfetto e utopico di Barbieland può considerarsi un’idea di matriarcato in cui le varie Barbie possono essere chi vogliono e fare qualsiasi cosa desiderano secondo regole imposte da loro stesse. Questa forma utopica, però, non si applica al Mondo Reale dove, ovviamente, il sistema sociologico è di matrice patriarcale.
Arriva qui quello che si definisce cultural shock (shock culturale) quando cioè due mondi o culture si incontrano e trovano inusuali o persino assurdi certi atteggiamenti sociali o regole di comportamento dell’altro. Il mondo di Barbie, che crede all’applicazione del proprio modello sociale anche nel Mondo Reale, collide con la realtà dando il via alla narrazione filmica.
Lo shock culturale della Gerwig, aiutata da una straordinaria Margot Robbie, è messo in scena negli sguardi degli uomini nei confronti della bambola. La scena è di una violenza estrema e porta a galla una delle esperienze più traumatiche che ogni donna, una volta nella vita, ha provato. Non c’è più lo sguardo accogliente, gioioso e di stima delle altre Barbie, ma quelle che le vengono rivolte sono occhiate giudicanti, sbeffeggianti, lascive e inopportune. Barbie diventa oggetto e non più soggetto della sua vita.
Barbie, per la prima volta, fa i conti con due aspetti molto importanti della pellicola: fragilità e inadeguatezza.
Fragilità e inadeguatezza
Il femminismo, come detto prima, non è supremazia della donna sull’uomo, ma parità e qui le tematiche della fragilità e dell’inadeguatezza vengono tratta nel loro aspetto più umano, non solo femminile, in un ottimo esempio di manifesto femminista.
Il senso di inadeguatezza è radicato tanto in Barbie quanto in Ken nel momento fatidico di consapevolezza di loro stessi. Il viaggio nel Mondo Reale, metaforico e fisico, porta con se un corollario di esperienze che cambiano per sempre la percezione del se e dell’altro. Barbie e Ken evolvono in quello che noi chiamiamo età adulta, abbandonano la dimensione ludica della loro esistenza e prendono posizioni sulla loro vita. Barbie piange, per la prima volta, e capisce che quella sensazione è legata a un insieme di sensazioni nuove a cui non sa dare una risposta poiché mai provate. Ken, d’altro canto, vive già in uno stato di inadeguatezza e la risposta, al suo sentirsi inferiore, la trova nel patriarcato (come ogni uomo medio moderno).
In entrambe le esperienze l’autrice pone attenzione sul tema della fragilità.
Non credo esista donna al mondo che non abbia provato, in un qualsiasi momento del suo percorso, uno o più aspetti della fragilità messi in scena, ma se chiedessimo a quanti uomini è capitato di venire a contatto con la loro parte più sensibile, le risposte sarebbero evasive.
E poi arriva Ken…
Ken inventa il patriarcato per non sentirsi più solo Ken, solo un accessorio di Barbie che lei può usare o smettere quando vuole. Ken prende il patriarcato per colmare quella fragilità che, agli uomini, è preclusa dalla stessa società che hanno creato. La fragilità maschile è vissuta quasi come un tabù e il sistema patriarcale soffoca qualsiasi tipo di sentimentalismo che non renda abbastanza virile un uomo.
Ken soffre la sua condizione, ma non ha modo di uscirne se non diventando un antagonista concettuale della stessa Barbie, combattendo l’utopia con un sistema funzionante e reale, con un patriarcato che relega le figure femminili a oggetti, accessori, incapaci di pensarsi umane e senzienti. In questa situazione ricostruire l’ordine iniziale, che sembra essere la soluzione, è inutile e sbagliato.
Arriva qui la seconda svolta del messaggio femminista del film, che vi piaccia o no, la soluzione al caos dei due mondi è una profonda consapevolezza di un’uguaglianza reciproca.
Essere una donna
“Essere una donna non vuol dir riempire solo una minigonna” cantava qualcuna. Ebbene sì, nel film c’è un altro aspetto molto importante anticipato precedentemente; la rappresentazione.
Ogni donna, ragazza o chi si identifica come tale si sente chiamata in causa. Il concetto di rappresentazione e inclusione è reale e lo è anche nel momento in cui una bambola dalle fattezze ben lontane dall’ordinario dice “non sono abbastanza”.
Il finale
È proprio l’epilogo del film che colpisce fortissimo come una vagonata sui denti. La consapevolezza di quel passaggio da bambina all’età adulta, il peso di tutte le responsabilità in quanto donne, madri, figlie, le fatiche da affrontare ogni giorno, la paura di non essere abbastanza, non abbastanza belle, abbastanza in forma o abbastanza brave e il terrore di deludere il nostro giudice più severo, noi stesse.
Barbie non è solo un mondo rosa che spaventa il genere maschile, ma è una favola femminista sulla lotta per la parità.
La chiusura del film mette la ciliegina sulla torta toccando la tematica della riappropriazione del corpo (cellulite compresa) della donna e, mi si permetta, dei suoi genitali.
Come on Barbie let’s smash the patriarchy.