Miss Violence, di Alexandros Avranas, la morte come primo passo verso la libertà, con Themis Panou, Eleni Roussinou e Sissy Toumasi

Cosa c’è di più forte di un brutale fatto di cronaca? Una narrazione cinematografica con cui cristallizzarlo sullo schermo, denunciandolo al mondo intero. Presentata in concorso alla 70° Mostra internazionale del cinema di Venezia – vincitore del Leone d’argento e della Coppa Volpi –  Miss Violence (2013) di Alexandros Avranas, s’inserisce nella “nuova” tradizione del cinema greco. Un’opera che per tematiche e sviluppo scenico va ad accostarsi al contemporaneo Dogtooth (2009) di Yorgos Lanthimos (Il sacrificio del cervo sacro, La favorita); nonché ai nostrani Buio (2019) di Emanuela Rossi e Favolacce (2020) dei D’Innocenzo; di cui è anche inevitabile ispirazione.

Partendo da un fatto di cronaca accaduto in Germania nel 2010, l’intento di Miss Violence è di “raccontare l’esercizio della violenza nella prima società in cui viviamo, la famiglia, dove impariamo il modo di pensare che poi proiettiamo al di fuori.” Avranas si spinge oltre i limiti, andando ad edulcorare il ben più spaventoso fatto di cronaca sopracitato, aprendo gli occhi su “tutti i bambini che sono vittime e non hanno voce.”

i titoli di testa di Miss Violence

Un’opera che – a detta di Avranas – è anche diretta denuncia verso chi volge lo sguardo dall’altra parte dinanzi all’orrore. Miss Violence è un dito puntato verso “i nostri rifiuti, la nostra indifferenza […] convinti che questi orrori accadano in altre case.”

Nel cast di Miss Violence – disponibile su Prime Video – figurano Themis Panou, Sissy Toumasi, Eleni Roussinou, Reni Pittaki, Kalliopi Zontanou, Chloe Bolota e Costantinos Athanasiades.

Miss Violence: la sinossi del film di Alexandros Avranas

Il giorno del suo undicesimo compleanno, Angeliki (Chloe Bolota), si getta dal balcone di casa sua. Un gesto inconsulto che sembrerebbe frutto di depressione, eppure…
La famiglia al seguito della guida autoritaria da Padre (Themis Panou), cerca di andare avanti nel dolore e di elaborare il lutto tra pratiche finanziarie e “l’andare avanti”. Qualcosa però sembra non quadrare nelle dinamiche tra Padre, la figlia Eleni (Eleni Roussinou) e la nipote Myrto (Sissy Toumasi).

Nell’elaborazione del lutto scopriremo come –  l’apparentemente gesto inconsulto di Angeliki – sia invece guidato da un profondo senso di libertà primordiale. Nelle sue interazioni inglobanti e stravaganti, la famiglia cela al suo interno delle dinamiche patriarcali di puro orrore fatte di sesso, perversione e prostituzione.

Una scena di Miss Violence

Dance me to the End of Love

Una festa di compleanno fatta di gioia, torte, champagne e abbracci in campo lungo; Polaroid; Leonard Cohen e volti tristi. La sequenza in sé colpisce – tra piani medi e primi piani – per l’evidente contrasto tra la gioia dei volti parentali, e la cupezza di quello della festeggiata. Poi uno sguardo in camera a inquadratura fissa; un mezzo sorriso tra serenità e consapevolezza; dietro la festa e davanti allo spettatore l’orrore di un salto. L’evento traumatico in apertura di racconto ci porta all’interno del conflitto scenico de Miss Violence, in un corpo sfracellato sul pavimento e in una testa che giace in una pozza di sangue.

Ciò che resta sono i sopravvissuti alla tragedia, tra ombrellini di stuzzicadenti tolti dal cibo “da festa”, cravatte “da lutto”, e silenzi di puro oblio. La vivacità della festa di compleanno si oppone così – in modo repentino – al silenzio della cena anche da un punto di vista cromatico e “fotografico”, nel buio della sala che riflette il buio dell’anima.

Themis Panou

Il dolore trasuda dallo schermo, tra urla, piatti sbattuti e sguardi fissi, per mezzo di una regia misurata e attenta che da risalto a un ambiente freddo e cupo. È senza dubbio la sopracitata cura registica di Avranas uno dei punti di forza di Miss Violence. Tra silenziosi primi e primissimi piani e piani medi spezzati – con cui depersonalizzare i propri agenti scenici – Avranas guida lo spettatore in un racconto dalla rigorosa messa in scena e dalla tensione palpabile. Tanto immediato nello sviluppo scenico e nel dispiego dell’intreccio, quanto graduato nel suo respiro. Avranas racconta così le conseguenze per i sopravvissuti tra un sussidio revocato e una spaventosa – quanto calcolata – sequenza con cui i superstiti “si liberano” degli averi della scomparsa.

Il sesso tra Dogtooth e Miss Violence

Tra gravidanze inattese, pianti incontrollati e immediate reazioni violente, Miss Violence pone al centro del conflitto un quadro familiare totalitario e patriarcale. Una dimensione scenica che vive di anomalie e incongruenze; di punizioni al limite del surreale e tenerezza improvvisa; di raffiche di schiaffi e carezze; porte sfondate e altre chiuse di netto. La più grande delle incongruenze è certamente quella che alberga nel padre/nonno di Pamos: uomo integerrimo e manipolatore dal tono di voce pacato e dagli sguardi indagatori; tanto autoritario e dominatore in casa; quanto inetto nel proprio lavoro.

una scena di Miss Violence

Al pari del quasi contemporaneo Dogtooth, con lo sviluppo dell’intreccio scenico emerge una forte componente sessuale traviata. Se nel film di Lanthimos vedeva un padre che nelle logiche malate di una dimensione familiare inglobante, incitava all’incesto tra figli, in Miss Violence si traduce in qualcosa di molto più sporco e perverso. Laddove in Dogtooth non v’è coscienza dell’incesto nei figli perché privati di quei mezzi di codifica necessari a concepirlo, in Miss Violence – complice anche una dimensione familiare ugualmente mostruosa ma non distopica – nei membri familiari c’è piena coscienza delle azioni.

Lanthimos ci racconta l’incesto in modo crudo ma asettico privando la bestialità dell’atto, di una componente passionale e fisica. Avranas no. Per mezzo di una calma “spaventosa”, il regista greco carica emozionalmente e semanticamente le azioni dei suoi agenti scenici. Un tripudio di brutalità disarmante e passionalità malata – e univoca – nel buio di uno stanzino umido. Prende così vita una forte componente sessuale che tra incesto, violenze e prostituzione,  va ad arricchire di valore – di riflesso – l’evento traumatico in apertura di narrazione.

Il plot twist diventa funzionale nell’economia del racconto, per diradare la fitta nebbia sulle enigmatiche dinamiche tra i membri stessi della famiglia. Se da una parte tale espediente va a valorizzare l’arco di trasformazione dei personaggi e la risoluzione del conflitto scenico, dall’altra manca di una base drammaturgica intenzionale adeguata. Avranas ce lo presenta come un dato di fatto, bidimensionale e poco approfondito.

La prossima volta cerca di sorridere

Nella lettura dello sviluppo scenico di Dogtooth, alcuni critici e spettatori si sono posti la domanda se gli eventi mostratici non fossero che una velata metafora dell’oppressione delle autorità nei confronti del popolo greco. Lanthimos non sposò mai – del tutto – questa teoria, pur non essendosene mai dissociato completamente. Avranas invece, con Miss Violence, sceglie un approccio decisamente più netto. Non c’è alcun senso “politico” figurato, non c’è un intento “altro” e/o allegorico, perché in fondo, non è nemmeno necessario.

La sua inenarrabile violenza; i giochi psicologici di potere; i tentativi di mascherare un figlio frutto dell’abominio; gli abusi in uno stanzino e il suicidio. L’opera di Avranas è di una violenza così frastagliata – psicologica e ricattatoria, viva e agli estremi – per poter essere considerata come un’allegoria, piuttosto la piena espressione della corruzione dell’animo umano in un gioco d’apparenze con cui celare l’insito orrore di un “perfetto” quadro familiare. Miss Violence ci spinge a tutti i costi a distogliere lo sguardo, a mettere le mani davanti agli occhi, e a non poter credere fino in fondo agli orrori mostratici. Avranas ci scuote, ci stimola, ci disturba, con un finale che da giustizia, ma che – di contro – potrebbe essere l’inizio di un nuovo incubo.