ALCOLISTA, la recensione del film di Lucas Pavetto

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Bret Roberts in una foto di Alcolista – Foto: Ufficio Stampa
Dopo il lungometraggio d’esordio Il Marito Perfetto, Lucas Pavetto torna al cinema con la sua opera seconda ALCOLISTA, film indipendente prodotto da Dea Film e interpretato da Bret Roberts, Gabriella Wright, Tania Bambaci, Bill Moseley e Carl Wharton.
Daniel (Roberts) è un uomo solo e disperato, affetto da una crisi esistenziale. La sua vita sembra segnata, ormai priva di senso e ragione, quando perde moglie e figlia in un incidente stradale. Per placare l’immenso dolore e elaborare il lutto si rifugia nell’alcol. La sostanza diventa per lui un “compagno reticente” che allevia i suoi mali ma al tempo stesso lo rende dipendente. Nel tentativo di evadere da un incubo ad occhi aperti, Daniel progetta l’omicidio della persona che ha ucciso la sua famiglia (il vicino di casa). Un giorno incontra casualmente Claire (Wright), un’assistente sociale che lo guiderà in un percorso di riabilitazione e lo aiuterà a combattere i propri demoni interiori.
Pavetto segue da vicino il tracollo psicologico ed emotivo del protagonista, la cui dipendenza dall’alcol lo imprigiona in uno stato di sofferenza, ansia e follia difficile da anestetizzare. Il regista italo-argentino utilizza un linguaggio cinematografico fluente ed efficace, complice un montaggio compulsivo che dona al film un ritmo nevrotico e altalenante, in perfetta sintonia con la condizione alienante di Daniel.
“Allevata dall’ubriachezza”, come sottolinea Erasmo da Rotterdam nel suo celebre saggio, “la follia non simula in volto una cosa, mentre ne ha un’altra nel cuore”. E così, mentre lo sguardo del protagonista è disorientato, quasi assente, la sua bussola emotiva è indirizzata verso un nichilismo lacerante che sprigiona odio, dolore e vendetta. Sentimenti che possono essere estirpati soltanto attraverso il compimento di un atto estremo, brutale e irrazionale.
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Bret Roberts in una foto di Alcolista, il nuovo film di Lucas Pavetto – Foto: Ufficio Stampa
Alcolista fonda la sua essenza su questi principi, rendendo partecipe lo spettatore della parabola discendete del protagonista. Pavetto abbandona l’approccio “psicanalitico” per adottare uno stile più diretto e pragmatico, volto a manifestare il doppio dramma di Daniel (perdita della famiglia e alcolismo) nella sua complessità. E, nel farlo, si appoggia alla brillante interpretazione di Bret Roberts, tormentata e densa di pathos, che cattura in pieno l’attenzione del pubblico trascinandolo in un vortice kafkiano di suspense e tensione.
La fotografia opaca e chiaroscurale di Angelo Stramaglia, le cui atmosfere richiamano la pittura caravaggesca, descrive con solennità gli ambienti interni, cosparsi di allusioni ed evocazioni al cinema horror (l’uomo nero, la scena degli insetti). Complice una regia fluida ed essenziale e un sonoro che alterna flebili rumori di sottofondo a grida incontrollabili, Pavetto riesce nell’intento di mostrare al pubblico il delirio cronico e le paranoie del protagonista senza ricorrere ad artifici retorici o manierismi estetici.
Alcolista è un film intenso e claustrofobico, con un impianto narrativo tipico dei thriller americani, che stimola riflessioni, pone domande “irrisolte” e rimanda allo spettatore le risposte. Cosa spinge l’uomo a percorre il tunnel della dipendenza? È la via più semplice per fuggire dal passato e giustificare la propria incapacità di affrontare il futuro? E ancora: la vendetta è una forma incontrollabile di dipendenza o un’ossessione inestirpabile? Questi e altri quesiti sorgono copiosi dopo la visione di Alcolista, un progetto suggestivo e interessante che merita di essere visto.
Andrea Rurali

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