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“Liberté, Égalité, Fraternité” “C’est moi!”
Mentre Francofonia, documentario sperimentale in concorso a Venezia sul ruolo del patrimonio artistico francese in periodo di guerra, prende il via dalla sua stessa conclusione, lasciando scorrere i propri titoli di coda e dando voce ai pensieri di un Aleksandr Sokurov non pienamente convinto del lavoro svolto, veniamo a conoscenza di un prezioso carico di opere d’arte dall’incerto destino, poiché trasportato da una nave in preda a una violenta tempesta in mare aperto; “E’ un delitto trasportare l’arte in questo modo!” commenta Sokurov.
Questo è solo l’accattivante incipit di un vero e proprio viaggio a ritroso nella memoria storica e artistica di una singola nazione e dell’Europa intera, con l’intenzione di ricordarci quanto la nostra vera identità come individui e come popolo possa essere facilmente ricercata su quelle tele dall’indescrivibile bellezza e dalla voce tuonante custodite tra le mura di colossi architettonici come il Museo del Louvre di Parigi. Tornando a dirigere all’interno di un museo, dopo il ben più riuscito Arca Russa (2002), Sokurov instaura un affascinante dialogo con i fantasmi che lo infestano, veri protagonisti dei tempi che furono, epoche e valori che continuano a riecheggiare celati nei nostri animi inconsapevoli. L’imperatore Napoleone Bonaparte (Vincent Nemeth) e Marianne (Johanna Korthals Altes) personificazione allegorica della Repubblica Francese, interagiscono con il regista e manifestano il loro incrollabile ‘Io’ attraverso il continuo ostentare di quei messaggi e di quelle affermazioni che appartengono loro di diritto e che dovrebbero riuscire a trascendere lo stesso concetto di tempo.
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Rare immagini di repertorio si susseguono alternate ad alcuni interessanti passaggi ricostruttivi della parentesi di occupazione nazista nella Francia del 1940, durante la quale due uomini in vista e d’indubbia integrità morale, il direttore del Louvre Jacques Jaujard (Louis-Do de Lencquesaing) e l’ufficiale tedesco Franziskus Wolff-Metternich (Benjamin Utzerath), valutano di comune accordo la soluzione ideale per la salvaguardia del patrimonio dell’iconico museo. Due identità unite dall’amore per l’arte, due volti di una guerra già scritta che non si rendono conto di vivere, a partire da questo momento, l’apice della propria esistenza. L’intento della pellicola è ammirevole e la sua architettura intrigante; peccato, dunque, che sia lo stesso Sokurov ad appesantire la totalità di un vero prodotto da Festival come Francofonia con una narrazione svogliata e priva di passione per l’argomento trattato, così da rendere impossibile metabolizzare a fondo anche l’incantesimo sempre suggestivo di un’opera d’arte che prende vita.
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