SPLIT, di M. Night Shyamalan: la recensione con 5 personalità

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split poster james mcavoy
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Il poster italiano di Split

Personalità 1: lo storico del cinema

L’incontro tra Shyamalan e Jason Blum, della casa di produzione Blumhouse, ha del miracoloso. Non solo infatti questa fusione creativa ha riportato in auge una carriera, quella del regista di origini indiane, che sembrava destinata a sprofondare senza guizzi nel dimenticatoio, ma si è creata una scossa tale nell’arte di Shyamalan sufficiente a tramutarla in qualcosa di completamente nuovo. Split racconta la storia di un uomo affetto dalla sindrome delle personalità multiple: nel suo corpo convivono 23 personalità differenti. Allo stesso modo, il film sembra palesare la frattura che intercorre nel cinema di Shyamalan.
Il regista di The Village, Il Sesto Senso, The Visit e (il fondamentale) Unbreakable giocava la sua poetica su una messa in scena enfatica e, al contempo, fluida. I suoi racconti erano indagini della realtà esterna, dei misteri del mondo. La sua fascinazione era soprattutto incentrata sul concetto di altro, di estraneo: dalle ninfe fuor d’acqua agli uomini non più di carne, passando per nemici invisibili ed onnipresenti come la natura o teorizzando la relatività dell’esistenza attraverso società utopiche. Lo Shyamalan post Blum è invece un filmmaker radicalmente nuovo e, cinematograficamente parlando, una persona diversa. Certo, l’indagine autoriale è sempre legata alla messa in crisi della realtà e alla scoperta della vera natura delle cose. L’attenzione del regista non si focalizza più sul mondo all’esterno dei personaggi, ma sul loro universo interiore. Sulla psiche.

Personalità 2: il Fan

Shyamalan è tornato. Ma è tornato forte! Per tutta la durata di Split c’è un’atmosfera familiare per il regista, sebbene al contempo sia aggiornata alla contemporaneità. La macchina da presa si muove con lo stesso effetto ipnotico delle migliori prove dell’autore. Le inquadrature sono centellinate e misurate per ottenere il massimo dai pochi elementi in scena. Shyamalan continua ad osare, senza la paura di piacere per forza, senza la pretesa di potere collocare la sua opera in schemi già visti e semplici da decifrare.
Il regista si riconferma capace di creare dei prodotti originali di assoluto valore in cui il twist finale (in questo caso, per i fan del regista, si tratta di un qualcosa di clamoroso, che vi farà gridare in sala) non è uno stereotipo ma un elemento portante della struttura filmica. Ciò che è celato, il colpo di scena, crea una coerenza incredibile agli elementi più controversi della sceneggiatura, riempie di significato la pellicola alla fine della sua durata.
Split
James McAvoy è Kevin in una foto di Split

Personalità 3: il cinefilo

Shyamalan è tornato ma, questa volta, fa film di genere. Se infatti nei suoi lavori più controversi e discussi la commedia si fondeva con la fiaba, l’azione veniva stemperata e mescolata in un calderone di filoni e suggestioni differenti, in Split il tono torna horror al 100%.
In particolare è apprezzabile la gestione del montaggio, che dà al lungometraggio un ritmo lento, in contrasto con quello interno molto ritmo (ovvero le azioni dei personaggi). Le inquadrature, le geometrie degli spazi, aiutano McAvoy a tirare fuori il massimo dalla sua interpretazione. Ogni personalità è infatti ben definita e riconoscibile dalle movenze, anche senza sentire il lavoro sulla voce (in originale è notevole).
Difficile dire se Split sia destinato a diventare un Cult ma le premesse, soprattutto in funzione del finale, ci sono.

Personalità 4: il precisino

Non tutto però è perfetto. L’assenza di James Newton Howard alle musiche si sente e, sebbene lo score di West Dylan Thordson non sia fondamentale nella costruzione delle atmosfere, un po’ pesa. La tensione non raggiunge le vette di un tempo e neanche quelle di The Visit soprattutto per colpa di un character development trascurato su due delle tre ragazze rapite. Il terzo atto è destinato a dividere radicalmente il pubblico ma, per chi scrive, resta il punto di forza del film.

Personalità 5: il consigliere

Lo consiglio a tutti gli amanti dei thriller psicologici e a quelli che, nonostante le difficoltà, non hanno mai smesso di credere in Shyamalan.
Gabriele Lingiardi

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