Viviamo in un mondo seriale, ma questa ormai non è una novità. La promiscuità dei mezzi di diffusione del prodotto “filmico”, inteso nel suo senso più ampio, ha reso ancor più eterogenea la relazione tra gli stessi prodotti. Ma anche questa non è una circostanza insolita. Tutte le barriere che separavano cinema e televisione sono diventate completamente permeabili, consentendo il passaggio indifferenziato di autori, registi, attori e soggetti da un mondo all’altro e dando origine ad un flusso continuo, probabilmente destinato alla completa distruzione di queste stesse barriere. Sebbene sia forte la convinzione che questo fenomeno non giochi affatto in favore del cinema, la sensazione che traspare durante la visione di Operazione U.N.C.L.E. (The Man from U.N.C.L.E.) è quella di trovarsi di fronte ad una piacevole eccezione. La spy story firmata da Guy Ritchie (regista e co-sceneggiatore insieme a Lionel Wigram), ispirata all’omonima (se si considera il titolo originale) serie TV Organizzazione U.N.C.L.E. (The Man from U.N.C.L.E.) trasmessa negli Stati Uniti dal 1964 al 1968, centra in pieno il bersaglio riuscendo a mantenere un equilibrio perfetto sul filo dell’intrattenimento di qualità. È il 1963, siamo in piena Guerra Fredda, e proprio durante la corsa agli armamenti si viene a formare un’insolita cooperazione tra CIA e KGB oggettivata da due agenti speciali: l’ex-ladro, Napoleon Solo, interpretato da Henry Cavill, e Illya Kuryakin, Armie Hammer. I due agenti, dal temperamento molto diverso, dovranno mettere da parte le loro divergenze per andare a recuperare Udo Teller (Christian Berkel), un ex scienziato nazista e collaboratore del governo statunitense scomparso. Teller, nel frattempo, si trova a Roma nelle mani della ricca famiglia filonazista Vinciguerra, guidata dai fratelli Victoria (Elizabeth Debicki) e Alexander (Luca Calvani), per la quale sta sviluppando una testata nucleare.
Al fine di portare a compimento questa missione la strana coppia di agenti decide di avvalersi dell’aiuto ‘provvidenziale’ della bellissima figlia di Teller, Gaby (Alicia Vikander), abilmente recuperata dalla Berlino est da Solo nelle sequenze iniziali della pellicola. Arrivati finalmente a Roma i due agenti e la ragazza si trovano ad operare sotto copertura, coordinati dal Comandante della British Naval Intelligence Waverly (Hugh Grant). Come nel più classico degli spy movie il ritmo si mantiene serrato, non mancano inseguimenti rocamboleschi e scene d’azione, e le dinamiche narrative non tendono mai all’esagerazione. La storia si sviluppa in modo fluente senza quella seriosità che a volte tende ad irrigidire i film d’azione, e per tutti i 116 minuti non si perde mai una certa ironia di fondo abilmente sostenuta dai dialoghi, che si possono definire, a ragione, brillanti. La trama, dotata della giusta quantità di colpi di scena, è sviluppata secondo un intreccio organico e coerente, i personaggi hanno un misurato grado di complessità, e risultano compiuti. La regia di Ritchie è fresca ed efficace, perfettamente in linea con gli altri suoi lavori, a partire dai più recenti Sherlock Holmes (2009) e Sherlock Holmes: Gioco di Ombre (2011) fino ai più datati Lock & stock –Pazzi scatenati (1998) e Snatch – Lo strappo (2000) da cui estrapola il fattore ‘humor’. I movimenti di macchina e l’uso di artifici tecnici, come lo split screen o gli spiegoni in flashforward (marchio di fabbrica) calibrati e sapientemente inseriti nel contesto scenico, favoriscono il coinvolgimento dello spettatore senza mai disturbarlo. Un’altra nota positiva è rappresentata dalla colonna sonora che recupera alcuni brani classici italiani degli anni ’60 come Il mio regno di Luigi Tenco.
Ma il vero plus ultra, il colore che inebria l’intera pellicola rendendola ancor più brillante e intrigante, è l’omaggio all’Italia e alla stagione del cinema di genere. L’occhio di Ritchie è apertamente rivolto all’avvincente Italian Spy e alle atmosfere vintage e patinate degli anni sessanta, periodo nel quale, sulla scia popolare di 007 e del mito ‘Bondiano’ dell’agente britannico dall’intuito impeccabile, i registi lavoravano di estro e creatività per sopperire alle lacune di budget rachitici, ingegnandosi in qualunque modo pur di proporre al pubblico lungometraggi frizzanti e appetibili e prendendo spunto dalle mastodontiche produzioni anglo-americane e ai suoi divi indiscussi. Nascevano così sigle improbabili come 077, 070, 777 e spie apocrife quali OSS 117 e 3S3, che talvolta davano vita a vere e proprie serie: Parolini, Margheriti, Sollima, Greco, Lenzi e De Martino, solo per citarne alcuni, spalancarono la strada ad un filone tutto italiano (che all’occorrenza sconfinava nel parodistico e nei suoi pittoreschi eroi, da James Tont agli 002 agenti segretissimi eFlit) da cui il filmmaker di Hatfield sembra avere attinto, nel suo UNCLE, i caratteri sostanziali, le linee esplorative e la filosofia realizzativa (ma con un buon budget), confezionando un piccolo diamante di genere che profuma di moderno finemente ‘post-datato’.
In definitiva, Operazione U.N.C.L.E. è un film appropriato, un prodotto estremamente gradevole che sfoggia un’armonia e un bilanciamento invidiabile in tutte le sue parti. Nella logica della consequenzialità, il finale abbraccia la possibilità di dar vita a un futuro sequel e forse ad un franchise, perfettamente in linea con la contemporanea tendenza alla sempre maggiore serializzazione del cinema. Se le premesse sono le stesse di Sherlock Holmes e di Operazione U.N.C.L.E., non ci resta che riporre le speranze nelle prossime opere dell’eclettico e imprevedibile Guy Ritchie.
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