RECENSIONE DI OPERA SENZA AUTORE,
IL FILM DI FLORIAN HANCKEL VON DONNERSMARCK

I quadri emettono sentenze. Hanno il potere di esplorare l’intimità dello sguardo, di navigare nel fiume della creatività, contemplare l’ispirazione e custodire il valore autentico dell’io.

Dopo anni di silenzio, Florian Henckel von Donnersmarck torna sulla scena con la sua ultima fatica Opera Senza Autore (Werk Ohne Autor), presentata in concorso alla 75. Mostra del cinema di Venezia.

opera senza autore
Tom Schilling in Opera senza autore

Ispirato dalla vita di un pittore tedesco (Gerhard Richter), il film non si limita a costruire il personaggio di Kurt Barnert (Tom Schilling), ma coglie nella narrazione biografica un’occasione per riflettere sul ruolo dell’arte e dell’artista, sulla funzione che entrambi ricoprono nella vita umana.

La storia è ambientata in Germania, tra le piaghe di un Paese rappresentato dal regista nella sua assurda schizofrenia e incoerenza. Opera senza autore copre diversi decenni, dalla Seconda Guerra Mondiale agli anni ‘60, dal nazismo alla spaccatura politica tra Est (comunismo sovietico) e Ovest (egemonia della NATO).

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Tom Schilling e Paula Beer in Opera senza autore

Donnersmarck fa interagire lo sviluppo fisico e caratteriale dei personaggi con il progresso storico. Sin dall’inizio siamo rapiti dal magnetismo di Elisabeth, zia di Kurt, che con il suo “strano modo di pensare” avvicina il nipote, allora bambino, a quella che diventerà la sua fonte di ispirazione primaria come artista: la verità come essenza di bellezza e la conseguente necessità di “non distogliere mai lo sguardo” davanti al vero.

È come se l’intera carriera di Kurt come pittore fosse un viaggio di ritorno verso questa intuizione artistica e si tratta di una strada tanto lunga quanto può esserlo il processo inventivo. Il regista raffigura la creatività come una sporgenza strana, un fattore nuovo che attraversa fasi incomprensibili persino all’artista stesso. Fasi di produzione esasperata, ma di soggetti falsi, momenti di puro sperimentalismo, ma lontane ugualmente dal vero. E, ovviamente, fasi di sterilità, di vuoto, di tela bianca.
Poi, inaspettatamente, dal bianco e nero di una fotografia di giornale, dai ricordi sfocati e da pura casualità l’artista crea e ciò che crea è vero e bello: è finalmente arte.

Opera senza autore è un film che, sulla scia del monumentale Black Book di Paul Verhoeven, porta lo spettatore nell’intreccio delle storie e delle riflessioni dei personaggi con una narrazione chiara, semplice, ma sapientemente intessuta. L’arte è una crescente sinfonia di sensi e sensazioni, e, come ogni autore, vive nella costante (ma irraggiungibile) ricerca della perfezione, dell’estro, del genio. Meravigliosa è la scena della zia Ellie che, ripresa con la telecamera a 360°, dirige il suono crescente (per lei è la nota LA) dei clacson degli autobus in un parcheggio vicino casa. Un momento di pura poesia e liberazione.
Florian Henckel von Donnersmarck realizza un’opera compatta e coerente che, nonostante la rimarchevole durata (188 minuti), non appesantisce, e trova la sua forza nello scorrere del tempo, un tempo storico, artistico, familiare.

Teresa Paolucci & Andrea Rurali