ONDE ROAD, la recensione

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onderoad_falsetta_recensionePartiamo dal soggetto: siamo in un ipotetico presente parallelo (o futuro imprecisato) ma ci tuffiamo costantemente negli anni ’70, l’epoca in cui più di altre spuntavano come lombrichi dopo la pioggia le radio indipendenti, o libere, chiamate anche pirata perché contrapposte a quelle istituzionali, nazionali. Una storia rievocata più volte sia in Italia che all’estero: ricordiamo solo uno dei tanti film, citati nello stesso Onde Road: I love radio rock (discutibile “traduzione italiana” del titolo originale The boat that rocked). In questo presente indecifrabile c’è un’emittente misteriosa che blocca tutte le frequenze, in nome di quelle stesse radio indie di cui sopra, e c’è un particolare tipo di polizia (la Censura Futuribile) che deve intercettarla e smascherarla.
Archiviato il soggetto, cominciano gli interrogativi. Il primo è il seguente: è un mockumentary o un documentario vero e proprio? La risposta arriva qualche minuto (di troppo) dopo che la storia inizia a carburare: è un vero documentario molto romanzato, immerso in un ambiente fantascientifico in cui i personaggi interpretano se stessi ma anche altro. Da qui nasce il secondo interrogativo: è possibile che un attore reciti un personaggio che pare fittizio e contemporaneamente impersoni se stesso? Certo, è possibile, ma il rischio di creare un po’ di confusione è molto alto, e purtroppo Onde Road non ne è immune. Il primo plus che poteva avere questo film, dunque, viene disciolto in una narrazione che non fissa da subito i paletti entro i quali sospendere l’incredulità. Il fascino un po’ autocompiaciuto della nostalgia un po’ documentaristica ma anche fine a se stessa, perché no, svanisce, lasciando il posto a una messa in scena trash, in cui il guado tra consapevolezza e involontarietà viene troppe volte oltrepassato. Inquadrature a volte pensate e/o realizzate in modo approssimativo, tagliando qualche dettaglio utile o scegliendo un punto di vista non così diegeticamente rilevante; montaggio e missaggio frettolosi, come se alcune clip o alcune tracce audio dovessero coprire dei buchi; alternanza poco raffinata fra interviste e macchie: non sono difetti da poco, purtroppo. Ed è un peccato, perché i titoli di testa lasciavano intendere tutto il contrario: una storia che fa del kitsch ragionato il suo leitmotiv e che trova nella musica dei Rockets un degno compagno d’avventura.

Rating_Cineavatar_2-5