Venezia 73: MILJEONG (THE AGE OF SHADOWS) di Kim Jee Woon, la recensione

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Miljeong (The Age of Shadows) - Photo: courtesy of La Biennale di Venezia
Miljeong (The Age of Shadows) - Photo: courtesy of La Biennale di Venezia
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Miljeong (The Age of Shadows) – Photo: courtesy of La Biennale di Venezia
Ambientato negli anni successivi alla grande guerra, Miljeong (The Age of Shadows) racconta le vicende degli Heroic Corps, i gruppi nazionalisti sudcoreani che osteggiavano le truppe giapponesi di  occupazione nel periodo di maggior spinta dell’opera di colonizzazione dell’Impero del Sol Levante.
L’impavido Kim Jee-woon, tra i registi più acclamati del panorama asiatico contemporaneo, dopo avere realizzato l’horror Three (2002), il noir drammatico Bittersweet Life (2005), il western celebrativo Il Buono, il Matto, il Cattivo (2008),  I Saw The Devil (2010) e, in ultimo, l’action movie The Last Stand (2013) decide di cimentarsi con un nuovo genere: il thriller di ambientazione storica.
Presentato fuori concorso alla 73. Mostra di Venezia, il film viene inaugurato da un’imboscata e una successiva caccia all’uomo attraverso i tetti di un paese nel bel mezzo della notte. I ribelli, infatti, costretti a reperire fondi per la loro causa, vengono tentati da un possibile affare con un trafficante di antichità che, per loro sfortuna, è’ d’accordo col capo della polizia locale asservita all’esercito di occupazione. Inutile dire che gli sforzi per evitare la cattura da parte del malcapitato, per quanto eroici e spettacolari, naufragano contro un intero esercito di soldati. Per impedire di essere costretto a rilasciare informazioni l’uomo giungerà a suicidarsi ma non prima, però, di aver fatto intendere allo spettatore durante un colloquio con il capo della polizia che le forze di liberazione potrebbero trovare proprio in quest’ultimo un buon alleato per perseguire la propria causa.
Miljeong (The Age of Shadows) - Photo: courtesy of La Biennale di Venezia
Miljeong (The Age of Shadows) – Photo: courtesy of La Biennale di Venezia
Da questo momento comincia a dipanarsi una trama fitta di incontri clandestini, inseguimenti, tentati agguati, doppi e tripli giochi che culminano in un viaggio in treno a Seoul dove i ribelli hanno intenzione di compiere un attentato esplosivo. Purtroppo per loro uno dei membri del gruppo è una spia e quindi le forze giapponesi, informate dell’operazione, cercano di intercettarlo durante il loro percorso, culminante con una sequenza nella carrozza bar che, per tensione e costruzione, ricorda molto da vicino la resa dei conti orchestrata da Quentin Tarantino nella taverna dello strepitoso Bastardi Senza Gloria.
Nonostante i 139 minuti di durata, l’opera di Kim Jee-woon dimostra una notevole solidità e una precisa idea realizzativa, scorrendo fluidamente fino al termine. L’epilogo risulta ottimamente architettato, strutturato meticolosamente anche dal punto di vista scenico, considerando che la ragione del gruppo nazionalista sudcoreano (per la quale lo spettatore si troverà  inevitabilmente a simpatizzare) sembra, ad un certo momento, destinata davvero a soccombere.
Paolo Dominoni

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