Un cartello, all’inizio de L’Isola Dei Cani, avverte subito che nel film gli umani parlano ognuno la propria lingua, ma tutti i latrati dei cani sono nella lingua dello spettatore.
Perfetto, è un film di Wes Anderson. Di animazione, tra l’altro: briglie sciolte!
I FATTI
Giappone, secoli fa: la dinastia Kobayashi – amante dei gatti – cerca di sterminare tutti i cani, ma un bambino samurai lo impedisce. Da allora i cani diventano i più fedeli amici dell’uomo.
Giappone, vent’anni nel futuro: Kobayashi, sindaco di Megasaki, bandisce tutti i cani dal distretto a causa di una febbre canina che potrebbe contagiare le persone. Gli animali vengono deportati in tronco sulla vicina isola dei rifiuti che diventa così L’Isola Dei Cani. Il primo è Spots, fedele amico di Atari Kobayashi (nipote dodicenne del sindaco), il quale mesi dopo ruba un aereo per andarlo a salvare.
Atterrato sull’isola incontrerà uno spassosissimo gruppo di “spietati cani alfa”, ma profondamente democratici, dai nomi inequivocabili: Rex, King, Duke, Boss e Chief, che lo aiuteranno nella ricerca.
In questo film c’è veramente tanta, tantissima sostanza. Ogni inquadratura è piena di dettagli nella sua consueta, perfetta geometria andersoniana. Dall’animazione volutamente “grezza” alla costruzione delle situazioni che si succedono tra un flashback e l’altro, dalla semplicità della storia di un bambino che vuole ritrovare il suo amico a quattro zampe alla sottotrama sulla politica corrotta e di pancia che va contro il buon senso e la ricerca scientifica: tutto si incastra con un’eleganza che non eccede mai.
IL CALEIDOSCOPIO DI WES
L’animazione, l’uso dei colori e la colonna sonora de L’Isola Dei Cani sono sfruttate in tutto il loro potenziale in un amalgama caleidoscopico che fa spesso cadere la mandibola a terra. Alexandre Desplat, alla quarta collaborazione con il regista, crea un costante e geniale sfondo musicale. La colonna sonora appare quasi sempre sottotono, esaltando invece le emozioni suggerite dalle immagini.
La bellezza dei fotogrammi è fuori discussione. L’effetto straniante dato dall’uso chirurgico della stop-motion permette a Anderson di esprimersi a livelli forse mai raggiunti prima, nemmeno con Fantastic Mr. Fox. La cinepresa che si muove con armonia in su e in giù, a destra e a sinistra, in avanti e indietro, qui diventa come non mai un personaggio dotato di vita propria.
La sottotrama dedicata al complotto contro il Partito della Scienza (con la curiosa partecipazione di Yoko Ono) è una splendida metafora di tante, troppe situazioni che vediamo quotidianamente srotolarsi sotto i nostri occhi. È straordinaria l’eleganza con cui il regista riesce a inserirla nel racconto, senza snaturarne il tono surreale e sentimentale, attraverso l’adorabile personaggio di Tracy Walker, combattiva studentessa americana che si prende una cotta per Atari e il suo sfacciato coraggio.
UN PO’ DI SENTIMENTO NON GUASTA