l'isola dei cani recensione
L’isola dei cani (2018) di Wes Anderson
Un cartello, all’inizio de L’Isola Dei Cani, avverte subito che nel film gli umani parlano ognuno la propria lingua, ma tutti i latrati dei cani sono nella lingua dello spettatore.
Perfetto, è un film di Wes Anderson. Di animazione, tra l’altro: briglie sciolte!

I FATTI

Giappone, secoli fa: la dinastia Kobayashi – amante dei gatti – cerca di sterminare tutti i cani, ma un bambino samurai lo impedisce. Da allora i cani diventano i più fedeli amici dell’uomo.
Giappone, vent’anni nel futuro: Kobayashi, sindaco di Megasaki, bandisce tutti i cani dal distretto a causa di una febbre canina che potrebbe contagiare le persone. Gli animali vengono deportati in tronco sulla vicina isola dei rifiuti che diventa così L’Isola Dei Cani. Il primo è Spots, fedele amico di Atari Kobayashi (nipote dodicenne del sindaco), il quale mesi dopo ruba un aereo per andarlo a salvare.
Atterrato sull’isola incontrerà uno spassosissimo gruppo di “spietati cani alfa”, ma profondamente democratici, dai nomi inequivocabili: Rex, KingDuke, Boss e Chief, che lo aiuteranno nella ricerca.
In questo film c’è veramente tanta, tantissima sostanza. Ogni inquadratura è piena di dettagli nella sua consueta, perfetta geometria andersoniana. Dall’animazione volutamente “grezza” alla costruzione delle situazioni che si succedono tra un flashback e l’altro, dalla semplicità della storia di un bambino che vuole ritrovare il suo amico a quattro zampe alla sottotrama sulla politica corrotta e di pancia che va contro il buon senso e la ricerca scientifica: tutto si incastra con un’eleganza che non eccede mai.

IL CALEIDOSCOPIO DI WES

L’animazione, l’uso dei colori e la colonna sonora de L’Isola Dei Cani sono sfruttate in tutto il loro potenziale in un amalgama caleidoscopico che fa spesso cadere la mandibola a terra. Alexandre Desplat, alla quarta collaborazione con il regista, crea un costante e geniale sfondo musicale. La colonna sonora appare quasi sempre sottotono, esaltando invece le emozioni suggerite dalle immagini.
La bellezza dei fotogrammi è fuori discussione. L’effetto straniante dato dall’uso chirurgico della stop-motion permette a Anderson di esprimersi a livelli forse mai raggiunti prima, nemmeno con Fantastic Mr. Fox. La cinepresa che si muove con armonia in su e in giù, a destra e a sinistra, in avanti e indietro, qui diventa come non mai un personaggio dotato di vita propria.
Isle Of Dogs
L’Isola dei Cani è il nuovo film in stop-motion di Wes Anderson
La sottotrama dedicata al complotto contro il Partito della Scienza (con la curiosa partecipazione di Yoko Ono) è una splendida metafora di tante, troppe situazioni che vediamo quotidianamente srotolarsi sotto i nostri occhi. È straordinaria l’eleganza con cui il regista riesce a inserirla nel racconto, senza snaturarne il tono surreale e sentimentale, attraverso l’adorabile personaggio di Tracy Walker, combattiva studentessa americana che si prende una cotta per Atari e il suo sfacciato coraggio.

UN PO’ DI SENTIMENTO NON GUASTA

Le storie raccontate dal regista texano hanno atmosfere dolci e L’Isola Dei Cani non fa assolutamente eccezione, anzi. L’ambientazione desolata e desolante diventa una continua scoperta di elementi divertenti, anche quando potenzialmente mortali.
Nei film di Wes Anderson non ci sono momenti soverchianti di dolore, violenza, malvagità e cattiveria. E anche in caso non sono una minaccia, ma costituiscono solo un’altra sfida da affrontare col sorriso.
Il suo cinema ci porta in luoghi sicuri, tra sogni avvolgenti che abbattono ogni avversità con la loro sincera innocenza. E, dannazione, quanto ne abbiamo bisogno!