La profezia dell'armadillo
Zero e Secco, i protagonisti del film La profezia dell’armadillo
Premessa: l’idea di adattare La profezia dell’armadillo di Zerocalcare in un lungometraggio live action non è mai stata tra le più furbe del cinema italiano. Il successo delle tavole disegnate deriva dall’abilita con cui Michele Rech, in arte Zeroalcare, gestisce il ritmo interno alle vignette, le espressioni dei personaggi e la portata caricaturale del tratto.
Trasporre la sequenza di riquadri che vanno a formare una storia in una serie di inquadrature, che compongono un film, non è un’operazione scontata. Si può deviare dal materiale originale, cercando di mantenere lo stesso sapore, o affidarsi a ciò che già esiste e dichiarare la propria fedeltà. All sua seconda regia, Emanuele Scaringi fa ciò che Zack Snyder aveva fatto con Watchmen: riprende i disegni, i dialoghi e il ritmo interno con precisione.
Zero (Simone Liberati) e Secco (Pietro Castellitto) vivono la loro vita, alle soglie dei trentanni, disillusi e scontenti. La loro routine si articola, per il primo, nel cercare di portare a casa qualche soldo con il suo lavoro di illustratore e con le ripetizioni; per il secondo, invece, esplorando la città alla scoperta di nuovi amori e testando nuove, e creative, droghe. Ad accompagnare Zero è l’Armadillo: amico immaginario non che coscienza critica e fido consigliere. Un giorno la notizia della morte di Camille, amica d’infanzia dei due, porterà Zero e Secco a rivedere le proprie priorità e a osservare i loro trent’anni sotto una prospettiva diversa.
A livello estetico La profezia dell’armadillo è un film grottesco. Il costume della creatura, sotto il quale si nasconde Valerio Aprea, sembra venire da un cinema che non esiste più: quello del trucco prostetico a basso costo, dell’inespressività delle creature, del sottile disagio del kitsch. In Italia questo sarebbe uno shock. E infatti lo è. Incoerente, respingente, autocompiaciuto, il film è un unicum straordinario proprio per questi motivi. I frammenti di vita del graphic novel vengono tradotti in sketch comici che funzionano per la maggior parte. Il personaggio di Zero, meno incerto e schiacciato dalla vita, ma più che mai illuso dalle proprie convinzioni, si fa immagine di un’intera generazione. La profezia racconta di giovani italiani capaci di sovrastare con il digital divide la generazione precedente, ma incapaci di portare a compimento la ricerca della propria felicità.
la profezia dell'armadillo
Zero e Secco, i protagonisti del film La profezia dell’armadillo
Pur essendo carico di umorismo, il film approda a conclusioni drammatiche ed è costellato da una costante malinconia. Rebibbia, alla periferia di Roma, è il cuore pulsante di questo libero flusso di pensieri. I quartieri ai margini sono quelli in cui la gente non scappa, in cui non ci sono cervelli in fuga o grandi esperienze all’estero. Quando si vive ai margini le piccole storie rendono completa la giornata. I miti a cui Zero si ispira, dai reperti di un Mammuth sotto un palazzo del quartiere, all’etica sociale assorbita dai film (L’odio su tutti), sono il collante della società che viene mostrata nel lungometraggio.
Non tutto funziona, le parentesi nel passato sono macchinose e a tratti ingenue. Sembra di essere di fronte a un film a episodi, brevi sequenze spesso slegate tra loro. Eppure Scaringi trova un finale, là dove nel fumetto mancava, che dimostra un grande cuore. Perché La profezia dell’armadillo non ama i personaggi che lo costellano, ma ama ciò che essi rappresentano. Prima di fare un salto nel vuoto nell’agognata età adulta, i protagonisti si voltano per osservare il cammino fatto per arrivare fin lì: in quel luogo e in quelle condizioni. E se non tutti gli spettatori potranno sentirsi interpellati, forse in sala un trentenne verrà abbracciato dal proprio armadillo, mentre osserva questo piccolo e imperfetto film con questi piccoli e imperfetti personaggi in cui tutti, almeno una volta, ci siamo riconosciuti.
Teresa Paolucci