Che Jumanji, film del 1995 con Robin Williams a fare da mattatore, fosse una pellicola senza bisogno di sequel o reboot è palese.
Un certo numero di fan della commedia d’avventura negli anni ha trasformato in cult il film di Joe Johnston, tanto da storcere il naso all’annuncio di un sequel che sembrava improntato sull’azione esagerata.
Un cinema, insomma, figlio del green screen e manchevole del cuore divertito e sentimentale del primo capitolo. Perché farlo?
Certo, quelle paure non erano di sicuro infondate, ma questo Jumanji – Benvenuti Nella Giungla ha sia luci che ombre.
Il film inizia più o meno dove avevamo lasciato il gioco da tavolo maledetto, su una spiaggia nel 1996. L’artefatto viene ritrovato e, “capendo” di non avere appeal nella sua forma attuale, si trasforma nella cartuccia di una console. Lo sventurato ragazzo che lo ha tra le mani e decide di giocarci viene subito risucchiato all’interno del videogioco.
Al giorno d’oggi un gruppo di studenti di liceo in punizione si imbatte nella vecchia console e nello stesso destino. Per comodità li chiameremo l’imbranato, il figo, la bella e la secchiona.
Com’è ovvio, dovranno completare il gioco per tornare nel mondo reale. Se dovessero però esaurire le tre vite a disposizione potrebbero non tornare mai più…
FIGLIO DI FIGLIO D’ARTE
La paternità del film è di un figlio d’arte dal cognome senz’altro ingombrante.
La regia è affidata a Jake Kasdan, figlio del ben più celebre Lawrence che da sceneggiatore ha dato vita agli Episodi V, VI e VII di Star Wars, al prossimo Solo: A Star Wars Story e a film come I Predatori Dell’Arca Perduta e Il Grande Freddo (di cui fu anche regista).
E’ purtroppo il comparto registico quello in cui il Jumanji – Benvenuti Nella Giungla mostra le pecche maggiori. Se nella primissima parte il film sorprendentemente funziona, creando buone dinamiche tra i ragazzi e caratterizzandone a dovere le personalità, tutto il resto della storia si fonda solo su questa base.
Una volta precipitati nella giungla di Jumanji non viene creato nulla di sostanzioso, se non una serie di gag a ripetizione sul “cambio di corpo” che funzionano sì, ma solo in virtù dell’incipit ben scolpito.
Non c’è nessuna situazione memorabile che scaturisca dalle pieghe della storia, molti tempi morti riempiti con i classici spiegoni (che non infastidiscono troppo solo perché mascherati da istruzioni del gioco) e una trama prevedibilissima.
Il cast è effettivamente scelto e gestito con occhio mirabile.
Dwayne “The Rock” Johnson (il timido, nel mondo reale), nuovo prezzemolone d’America, risulta per una volta in parte e davvero divertente, soprattutto quando si ritrova a giocare con una delle abilità del suo avatar, il Prof. Smolder Bravestone: la “bollente intensità”. La parte senz’altro migliore del film è proprio quella in cui ognuno scopre i propri punti di forza e di debolezza, in cui paga appunto la costruzione dei quattro ragazzi a inizio film.
Jack Black si mangia la scena interpretando la bella della scuola, tutta Instagram e sorrisetti sexy, rinchiusa nel corpo di… be’, di Jack Black!
A completare il gruppo, Kevin Hart (il figo, giocatore di football, intrappolato nel corpo di un portazaini imbranato) e la bellissima Karen Gillan (la secchiona nel corpo sexy di un’eroina d’azione) regalano momenti quasi da commedia slapstick che tengono in piedi la narrazione.
Insomma, le tensioni scontate e l’ovvia, graduale risoluzione dei problemi di fiducia in sé stessi lasciano volentieri il posto alla verve comica dei quattro protagonisti.
IL BENE E IL MALE