JANIS, la recensione

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C’è qualcosa nella voce di Janis Joplin che, a chi non conosce la sua storia e i suoi trascorsi, già preannuncia un tormento interiore e la strenua ricerca di un riflesso emotivo tra le altre persone. E’ la voce di chi riversa nelle note la propria anima in lacrime, è l’eco di quell’onestà artistica che le ha permesso di farsi strada nel cuore dei suoi fan e ascendere, così, all’Olimpo degli immortali del rock & blues.
Presentato in anteprima italiana alla 72ma Mostra del Cinema di Venezia e proiettato per pochi giorni nelle nostre sale, il nuovo documentario della regista californiana Amy J. Berg (Every Secret Thing, Deliver Us from Evil) sceglie la via dell’intimità e dell’alto rispetto, come una delicata poesia rivolta a un’amica scomparsa prima del tempo. L’autrice entra nel fragile mondo di Janis dopo aver chiesto il permesso ai suoi stessi cari, i quali le hanno fatto dono della loro approvazione e testimonianza, a impreziosire ulteriormente un’opera che deve la propria efficacia già solamente alla semplicità e all’innocenza di una donna e un’artista più unica che rara.
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Attraverso inedite foto di famiglia, video di repertorio e lettere scritte di getto dalla mano della cantante (e interpretate nella versione italiana da Gianna Nannini), seguiamo il percorso artistico e la crescita interiore di chi ha trasformato il bisogno di amore in un messaggio di forte autoaffermazione rivolto al mondo intero. Ogni tappa del viaggio di Janis attraverso la scena musicale degli anni ’60 appare, così, come un tassello di un puzzle umano destinato in partenza a rimanere incompleto. La magia del palcoscenico, il senso di appartenenza fraterna a una band di soli uomini (i Big Brother and the Holding Company) e la consapevolezza di aver trovato la propria strada nel mondo dello spettacolo, nonostante la mancanza di un vero appoggio da parte dei genitori, coesistevano con l’isolamento e le derisioni in tenera età, le delusioni amorose, le liti e il costante sguardo critico nei confronti del proprio aspetto fisico.
Una miscela emotiva che sfociava in modo naturale nell’abuso di quelle sostanze che hanno interrotto bruscamente e inevitabilmente il suo cammino. Come una marea che si distende e si ritrae, il mutevole stato d’animo di Janis dettava legge sul bisogno o meno di un sostegno che non fosse di natura umana, tanto era il desiderio di non mettere in mostra le proprie angosce e debolezze. Janis è un estremo saluto rivolto alla ragazza, prima ancora che all’artista, nonché una lettera di sentito rimpianto e ricercato conforto indirizzata a tutte quelle singolari personalità che, meritevoli del nostro affetto per aver portato sollievo ai nostri cuori con la propria arte, hanno finito purtroppo con lo sfiorare appena questo mondo terreno.
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