Photo: Courtesy of Lucky Red
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Da affarista miliardario con la passione per le donne a eremita solitario in crisi mistica e esistenziale: una svolta agli antipodi per il brillante Richard Gere che, all’alba delle 66 primavere e un ruolo da sex symbol ancora intatto, abbandona i panni dell’indimenticabile Edward Lewis in Pretty Woman per vestire quelli del generoso Franny nell’omonima opera prima del regista Andrew Renzi.
Per quanto il film sia soppesato sullo spessore artistico di una figura carismatica come Richard Gere, lo scheletro narrativo risulta debole e inconsistente, con un’ossatura troppo gracile e astenica che non favorisce una chiara spiegazione sullo stato dei fatti e sulle dinamiche scaturite da un approccio ‘confuso’ dalla realtà. Franny focalizza l’attenzione sulla vita di un benefattore dall’infinita generosità e dalla conservazione etica che trae giovamento nel donare la sua ricchezza a una giovane coppia, la cui esistenza è destinata a cambiare radicalmente.
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Le premesse di un lavoro indipendente, scritto e diretto da Renzi, non trovano esemplificazione nell’impianto diegetico e nelle linee di sviluppo percorse dal lungometraggio, poiché rafforzano la tesi secondo la quale è impossibile realizzare un prodotto vincente senza una solida sceneggiatura e un attore in grado di tramutarla in successo, grazie e soprattutto alle doti recitative e a una notevole presenza scenica. Franny è la parabola discendente di un uomo abbandonato, affranto dal dolore e dagli spettri di un passato che riaffiora, alla costante ricerca di una vera ragione per andare avanti. La scomparsa accidentale dei suoi più cari amici getterà il protagonista nel baratro della solitudine e nella dipendenza più sfrenata per alleviare i permanenti dolori e oscurare i pensieri. L’unico appiglio per restare a galla è rappresentato da Olivia, figlia della coppia di amici, e dal suo compagno Luke, i quali riceveranno il prezioso aiuto di Franny e torneranno ad abitare nella stessa casa in cui la giovane ragazza aveva trascorso l’infanzia.
Trascurato, depresso e trasandato, il provvidenziale filantropo accoglie con grande gioia il rientro in città di Olivia, quella giovane adolescente rimasta orfana in seguito ad un terribile incidente che coinvolse irrimediabilmente i suoi genitori. L’unico sopravvissuto alla tragedia fu Franny che, nonostante le lesioni fisiche, non ebbe la forza di rialzarsi mentalmente e superare il drammatico episodio. Soltanto l’improvvisa gravidanza di Oliva provocherà in lui una labile reazione, e la sua vicinanza un pretesto per rivivere il riflesso di quei momenti felici condivisi anni prima con i due amici.
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L’esordiente Andrew Renzi costruisce un lungometraggio dai toni drammatici e riflessivi, ancorato ad una visione ermetica e deframmentata, che a tratti non consente di essere ricostruita per cercare di dare una risposta alle domande che si susseguono durante l’intera vicenda. L’interpretazione degli attori, da Dakota Fanning a Theo James, è al contrario onesta e mai sopra le righe, ad eccezione di Richard Gere che, con la sua esperienza e il magnetismo nello sguardo, rischia di offuscare il resto del cast. Una pellicola asettica che non riesce a creare un legame empatico con il pubblico e al tempo stesso non ha il potere di incantarlo. Sterile.
Andrea Rurali
Recensione anche su MaSeDomani.com

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