FANTASTIC 4 – I FANTASTICI QUATTRO, la recensione

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Se n’è ormai parlato in lungo e in largo. A causa di ritardi, tagli, modifiche allo script e riprese aggiuntive in extremis, abbiamo tutti assistito a una tormentata nascita per Fantastic 4-I Fantastici Quattro, nuovo cinecomic targato 20th Century Fox (ci hanno regalato l’intera saga degli X-Men) e diretto dall’emergente Josh Trank, fattosi notare dal grande pubblico grazie al mockumentario di natura supereroistica Chronicle, con protagonisti Dane DeHaan e Michael B. Jordan. Grazie a Chronicle, Trank era riuscito a portare in auge una versione oscura della figura del supereroe e a porre l’attenzione sulle conseguenze di un eccessivo potere riposto nelle mani di una fragile personalità. Proprio il successo di quell’esordio così cupo e incisivo aveva alimentato in modo naturale grandi speranze e curiosità intorno alla nuova veste cinematografica della famiglia di supereoi Marvel più longeva della storia. Le potenzialità per elevarsi drammaticamente e qualitativamente rispetto alle due pellicole del regista Tim Story (I Fantastici 4 del 2005 e I Fantastici 4 e Silver Surfer del 2007) c’erano tutte ma, nonostante la voce dell’esistenza di una versione dal montaggio differente rispetto a quello cinematografico che vedrà la luce unicamente in home-video, il risultato portato a casa in questo “primo round” è da ritenersi tutto tranne che soddisfacente.
Fantastic 4 comincia nel migliore dei modi, dando cioè spazio alla fervida immaginazione e all’inventiva di un Reed Richards (Miles Teller) in tenera età, simbolo di quel genere di cinema che rende i bambini veri protagonisti e portavoce di un’apertura di mente tale da farti credere che l’irraggiungibile sia, in realtà, a portata di mano. L’irraggiungibile, in questo caso, è rappresentato dal collegamento, per mezzo di un portale altamente tecnologico, con un altro mondo o dimensione parallela, dove vigono leggi del tutto estranee al nostro pianeta. Inutile negarlo: la prima metà del film funziona alla grande. La gioventù di Richards e del suo migliore amico Ben Grimm (Jamie Bell) lascia rapidamente il posto al “mondo dei nerd” e, attraverso l’espediente di un importante obiettivo comune (il portale), il film ci rende piacevolmente partecipi di un affiatato e coinvolgente processo creativo in amicizia, durante il quale spicca anche un giovane e inedito (seppur con evidenti indizi sul suo futuro da villain) Victor von Doom (Toby Kebbell). L’idea di ringiovanire i supereroi protagonisti, in parallelo ai loro corrispettivi cartacei in versione Ultimate, supera il responso del pubblico e contribuisce a evidenziare un sincero e credibile rapporto fraterno. Tutto questo serve a preparare lo spettatore al sopraggiungere di quel “lato oscuro” su cui i fan di Chronicle hanno puntato fin dall’inizio.
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In corrispondenza dell’acquisizione dei poteri da parte di Richards e dei suoi amici, i toni si fanno più seri, marziali e parzialmente horror. Ancora una volta entra in gioco una buona idea di matrice “trankiana”: la scelta di trasformare lo stupore dei protagonisti in terrore, nella paura nei confronti di una vera e propria aberrazione del proprio equilibrio fisico, poiché la naturale conseguenza di tali incredibili mutazioni genetiche (considerando, soprattutto, la giovane età dei personaggi) non può che essere lo sconvolgimento più totale che, solo in seguito, si trasformerà in presa di coscienza ed entusiasmo per le nuove abilità ottenute. Peccato che, con questa importante svolta narrativa, il film cominci a collassare su sé stesso e si manifestino con prepotente evidenza i disastrosi effetti del lavoro di “copia e incolla” sopracitato.
A partire dall’esatta metà della pellicola, l’idea generale è che la narrazione spinga ferocemente il piede sul pedale dell’accelerazione: ogni elemento psicologico o evoluzione all’interno della squadra di supereroi viene affrontato con una tale superficialità da far rimpiangere il conflitto interiore de La Cosa di Michael Chicklis. Interessante, ad esempio, come si sia scelto di rendere Reed Richards una sorta di capro espiatorio con il desiderio di riguadagnare la stima e la fiducia del povero Ben Grimm ma, nel farlo, sembra che venga messa da parte ogni più piccola profondità del loro storico rapporto e, da ragazzo alle prese con un drammatico e irreparabile sconvolgimento del proprio stile di vita, quest’ultimo si trasformerà agli occhi del pubblico in un semplice “mostro da grande schermo” provvisto di una personalità monodimensionale.
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Con indosso un costume che ricorda vagamente una moderna versione delle vesti di Belfagor, il fantasma del Louvre, Toby Kebbell dona, invece, al suo Dottor Destino sufficiente glacialità e cattiveria, ma la sua rapida incursione nella storia lo renderà inevitabilmente un villain da dimenticatoio, cosa che, almeno per il momento (un sequel potrebbe essere in dirittura d’arrivo), creerà non pochi attriti nel rapporto tra il film e i numerosi fan della saga a fumetti. Kate Mara si dimostra senza dubbio una scelta più azzeccata rispetto a Jessica Alba, seppur non donando una particolare personalità alla sua Sue Storm; risulta oltremodo gradevole l’innocua idea di una ragazza esperta nel riconoscimento di schemi o “pattern” che trovi nella musica la sua primaria fonte di concentrazione ma, contemporaneamente, dispiace che si sia evitato di porre basi più solide in vista della sua futura relazione con Reed. Dal canto suo, anche la caratterizzazione del fratello adottivo Johnny (il Michael B. Jordan lanciato da Chronicle) viene liquidata con un semplice “può costruire qualsiasi cosa”, seppur sia il personaggio che, nella seconda parte del film, dimostra maggior carattere e determinazione. Se immaginate di confezionare l’intero prodotto, già traballante di per sé, con effetti speciali da produzione televisiva, avrete il quadro generale della veste con la quale Fantastic 4-I Fantastici Quattro è stato presentato al cinema; di conseguenza, non ci resta che attendere la versione home-video, nella speranza di poter donare un miglior responso e dare giustizia all’originaria e personale visione di un giovane regista con ancora molte carte da giocare.
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