CAROL, il dolce sospiro dell’amore: la recensione

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Photo: Courtesy of Lucky Red
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Se l’ultima opera del regista Todd Haynes fosse una sinfonia, si tratterebbe senza ombra di dubbio di una composizione in tonalità minore. C’è infatti una costante malinconia di fondo che avvolge e sostiene le emozioni delle splendide protagoniste di Carol, suoni sussurrati ma percepibili anche al tacere della trascinante colonna sonora di Carter Burwell, note intime e umane che tutto impreziosiscono e nobilitano. La musica riveste un ruolo fondamentale, sia sul piano estetico che narrativo: l’azione del comunicare attraverso di essa, ripresa da Haynes in più di una sequenza, rappresenta forse l’espediente più puro e diretto con il quale una profonda emozione possa essere trasmessa e compresa.
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Sarebbe un errore imperdonabile definire Carol come una semplice pellicola sul tema dell’omosessualità. Il forte sentimento d’attrazione tra due persone del medesimo sesso, seppur presente, necessita di essere letto come un’affinità e un trasporto mentale, più che carnale. La giovane commessa Therese Belivet (Rooney Mara) e la magnetica aristocratica Carol Aird (Cate Blanchett) si cercano reciprocamente in risposta al loro sentirsi prigioniere di un luogo e tempo che non rispecchiano la musicalità e il calore del loro spirito. Tutto ciò che le circonda appare loro estraneo e distante, accusatorio e intransigente nei confronti della sola colpa di essere sé stesse e di non mentire al proprio cuore. Il senso di estraneità e non appartenenza al posto che la vita ci ha destinato e il conseguente bisogno di fuggire, se collocati nella New York conformista degli anni ’50, non fanno altro che evidenziare maggiormente il peso di quelle dubbie catene morali che la società c’impone di generazione in generazione.
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La brillante armonia delle immagini e di uno script che bilancia dialoghi intensi a pacati e silenti intervalli, trova il suo apice espressivo in una fotografia morbida e seducente sorretta da una forma registica che esalta, grazie alle inquadrature, i volti candidi degli interpreti per trascinarli in un vortice di ansie, turbamenti e palpitazioni valorizzato da virtuosismi tecnici di meticolosa perfezione. I movimenti di macchina scandiscono i tempi e donano un ritmo delicato, quasi oscillatorio, all’intera vicenda intrisa da un’efasi di fondo che domina ogni situazione. Todd Haynes è abile nel mescolare chiavi impressioniste a un linguaggio realistico in un elegante melodramma classico per raccontare il legame tra Therese e Carol e l’innocenza con la quale si lasciano trasportare in un rapporto limpido e incontaminato, senza dover giustificare i motivi che le hanno spinte a unirsi naturalmente. Tratto dal romanzo di Patricia Highsmith, il film ha il coraggio di narrare una storia che, seppur ambientata in un periodo ostile e intollerante alle unioni fra individui dello stesso sesso, sembra evolversi in una dimensione intima e anacronistica, avulsa dall’epoca in cui lo spaccato sociale funge da mera cornice ambientale.
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La magnifica poesia visiva di Todd Haynes è il ritratto soave di due donne che comunicano attraverso il corpo e rimettono nelle mani del fato la propria esistenza. Carol è il dolce sospiro dell’amore, del battito frenetico di un cuore che non è in grado di mentire e cede davanti alla bellezza sconfinata degli occhi, fiumi in piena all’interno dei quali scorrono emozioni limpide che la ragione non può controllare. Cate Blanchett e Rooney Mara, straordinarie nelle rispettive performance, vivono con trasporto un sentimento puro e istintivo, un turbinio di sensibili emozioni reso autentico da quell’alchimia negli sguardi che riesce a scavare nel profondo dell’anima e dialogare con la voce del silenzio. Piccoli gesti e una simbiotica comprensione rendono Carol un film che vive oltre ogni logica del tempo, un capolavoro d’arte da ammirare in tutta la sua interezza e tacita complessità, illuminato dal caldo bagliore come in un dipinto fiammingo o caravaggesco in cui la luce esprimeva suggestioni e sensazioni che le parole non erano in grado di descrivere. Proprio come la pellicola di Haynes e la sua magica atmosfera percettiva.
Andrea Rurali & Giulio Burini

Rating_Cineavatar_5