ant-man and the wasp
Paul Rudd ed Evangeline Lilly in Ant-Man and the Wasp (2018)

Finita la guerra, i Marvel Studios tornano ad atmosfere più distese e rilassate. “Ma nessuno pensa ai morti?” grida da fondo sala il fan ancora addolorato.

Serviva uno stacco dalla gravitas dei fratelli Russo a Kevin Feige e compagnia. Questo si chiama equilibrio editoriale: una dote apprezzabilissima che i Marvel Studios affinano anno dopo anno. Ant-Man and the Wasp piace e diverte, come già rilevato da qualche critico statunitense, proprio in funzione di questa alternanza di atmosfere che viene a compiersi sul lungo periodo, guardando in linea orizzontale i 20 film che l’hanno preceduto. Prendendo però Ant-Man and the Wasp come singolo film emergono alcune considerazioni non troppo lusinghiere.
Se infatti a livello di puro intrattenimento non si può dire nulla di negativo alla gestione di Peyton Reed, è nella gestione dei personaggi che il film sembra tornare a 10 anni fa. Il villan Ghost è evanescente per sua natura e per scrittura: prova un dolore costante che non vediamo mai né possiamo comprendere, è pressoché ininfluente all’arco di maturazione dei protagonisti.
Wasp è solo una spalla forte. Il fatto che sia donna attenua il senso di già visto. È tutto leggero, piccolo in scala e ambizioni, forse troppo. Certo, i recenti drammatici avvenimenti nell’universo degli Avengers hanno erroneamente dato l’impressione a molti che questi film fossero qualcosa che non sono. Non sono prodotti per adulti. Con il 90% di inquadrature contenenti effetti speciali, i cinecomic sono più vicini all’animazione che al live action. Quindi la leggerezza, il non prendersi sul serio, va considerata parte del gioco. Se però il primo Ant-Man non osava particolarmente a livello di gestione dei personaggi a causa dei problemi produttivi e, per così dire, “portava a casa” il risultato, questo secondo capitolo non ha scusanti.
Ant-Man and the Wasp
Paul Rudd ed Evangeline Lilly in Ant-Man and the Wasp (2018)
Il pur controverso Thor: Ragnarok aveva il merito di sterzare drasticamente, uscire dalla mediocrità di un franchise che non decollava, per trovare un tono unico e personalissimo. Le avventure dell’uomo formica sono ancora figlie della Marvel prima della rottura tra Feige e Perlmutter. Sono storie discendenti di quella casa editoriale in cui i film si assomigliavano un po’ tutti, senza il peso di una grande storia in continuity sullo sfondo. Se sia un pregio o un difetto sta alla sensibilità dello spettatore deciderlo. Difficile però non intravvedere in Ant-Man and the Wasp una serie di potenzialità inespresse: primo tra tutti l’incrocio tra la scienza e la fantasia (non chiamatela fantascienza).
Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi ha fatto scuola per quanto riguarda la gestione delle dimensioni (fate girare a Joe Johnston il terzo capitolo) e il comparto tecnico di Ant-Man riesce a imparare dai suoi insegnamenti. Il controllo delle “misure” è eccellente e non scontato, il senso di meraviglia è forte quando gli eroi si restringono o diventano giganteschi. Le possibilità del quantum realm (il regno quantico), ma anche del mondo microscopico fatto di batteri e cellule, sono il vero elemento che sorregge il film.
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Paul Rudd ed Evangeline Lilly in Ant-Man and the Wasp (2018)
Tutto il resto è trama, semplice e poco appassionante. Perché quindi non osare di più? Perché non puntare sul “sense of wonder” che rendeva Doctor Strange una perla rara? È come se, anche in questo caso, senza tutti i problemi produttivi alle spalle, si sia voluto giocare sul sicuro. Laddove una palla tirata da Thor a Loki poteva commuovere, in Ant-Man and the Wasp intere sequenze, dal notevole carico emotivo sulla carta, risultano scialbe e poco interessanti. Nel terzo atto, soprattutto, sarebbero serviti almeno 20 minuti in più per esplorare la nuova situazione venuta a crearsi, ma tutto lo sviluppo viene rimandato al prossimo capitolo. 
Ant-Man and the Wasp è il film più deludente della Fase 3, un cinecomic nel segno della mediocrità che si limita a esserci, senza infamia e senza lode. La speranza è che i Marvel Studios tornino a osare con idee più calde e personali, forse meno sicure come il già citato Thor: Ragnarok, ma più interessanti dal punto di vista cinematografico. L’uomo formica ha bisogno di un restyling? Decisamente sì.