ANNABELLE 2: CREATION, la recensione dell’horror di David F. Sandberg

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Annabelle 2
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Il poster italiano di Annabelle 2: Creation
Una gioiosa e solare provincia americana dei primi anni del novecento viene scossa da un tragico, e visivamente violento, incidente che stronca la vita della piccola Bee (Samara Lee) e condanna i suoi genitori alla sofferenza della perdita. Dodici anni dopo, un gruppo di ragazze si trasferisce nella casa dove ancora “sopravvivono” i genitori della bambina ma, ben presto, la quiete verrà turbata dalla scoperta di una misteriosa bambola che cela un segreto demoniaco.
L’universo horror che ruota attorno alle due pellicole di The Conjuring e allo spin-off di Annabelle si arricchisce così di un ulteriore tassello che consolida un immaginario orrorifico riconoscibile e variegato, grazie anche alla capacità del regista David F. Sandberg di proporre alcune variazioni sul tema in termini sia di racconto che di estetica.
Annabelle 2: Creation è un film di chiaro-scuri dove il male non è relegato solo alle tenebre, dove la tela di ansie e tensione viene tessuta lungo tutta la storia e in ogni singola inquadratura. L’ambientazione decadente (ma sontuosa ed elegante allo stesso tempo) sviluppa un nuovo “universo del terrore” di impostazione molto classica ma mai, in questo senso, banale.
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Miranda Otto in Annabelle 2: Creation
La messa in scena è sapientemente orchestrata per far sì che le scene più spaventose siano, paradossalmente, quelle dove l’orrore non viene propriamente svelato ma solo atteso o accennato. Così, le lunghe sequenze in cui le bambine si aggirano per la grande casa, esplorando luoghi proibiti o semplicemente indugiando sull’uscio di stanze opulente, diventano talmente cariche di un’atavica paura del Male da risultare molto più disturbanti della manifestazione stessa del demonio e delle rappresentazioni più macabre di corpi straziati o posseduti.
Il cast è ricco e molto efficace: buona la performance di Talitha Bateman e della giovane Lulu Wilson, volto già noto agli amanti del genere, poiché protagonista di Oujia: L’Origine del Male. Attorno a loro gravitano le figure degli adulti, soprattutto Miranda Otto e il burbero Anthony LaPaglia.
E’ forse il gusto per il classico, unito intelligentemente alla raffinatezza della rappresentazione, che rende interessante il lavoro di Sandberg su questa pellicola che, tuttavia, pecca di una narrazione troppo sbrigativa e debole, soprattutto nella seconda parte del film e nel racconto della “genesi” della maledizione.
Un buon prodotto di genere con una storia avvincente e ansiogena che farà saltare il pubblico sulle sedie.

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