Made in Italy: il nostro incontro con Luciano Ligabue

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Luciano Ligabue incontra il pubblico dell’Anteo Spazio Cinema di Milano – © Gabriele Lingiardi

Bagno di folla per Luciano Ligabue durante l’incontro con il pubblico
all’Anteo Spazio Cinema per presentare il suo nuovo film Made in Italy

La conferenza post proiezione di Made in Italy, il nuovo film di Luciano Ligabue, è l’evento perfetto per capire la portata del fenomeno “Liga”. Uno dei rari eventi in cui i fan possono interagire con il loro cantante preferito, per l’occasione nella veste di regista e sceneggiatore.

LA NOSTRA RECENSIONE DI MADE IN ITALY

Sembra di assistere ad un momento profetico. Impossibile non percepire la tensione diffusa tra i sedili dell’Anteo Spazio Cinema mentre i titoli di coda stanno scorrendo. È il momento dell’incontro con il Liga. Il pubblico eterogeneo, composto da liceali giovanissimi e adulti con più di mezzo secolo sulle spalle, scalpita sulle sedie. L’attesa e la passione si sfoga quando il microfono viene passato al pubblico. Più dediche, che domande. Più dichiarazioni d’amore che giudizi sul film.
Questo è Made in Italy, al di là dei suoi valori produttivi e artistici (tutt’altro che memorabili), il film è un prodotto perfetto nel comunicare al proprio pubblico, con semplicità, messaggi così scarni da diventare eccezionalmente rilevanti. Si parla di uguaglianza, di vivere giorno per giorno, di accettare tutti, di guardare positivo. Ligabue sembra un guru religioso che parla ai suoi fedeli, i quali lo toccano, lo abbracciano, gli consegnano lettere.
È la magia della potenza del cinema, è della musica, che impatta sulle vite. Si può cogliere una piccola parte di tutto questo, ascoltando le domande che sono state rivolte.
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Luciano Ligabue incontra il pubblico dell’Anteo Spazio Cinema di Milano – © Gabriele Lingiardi
Luciano Ligabue, da cantante a regista: come sei arrivato fin qui?
È una lungo viaggio. Inizia con Domenico Procacci che mi contatta e mi propone di fare un film, Radiofreccia. Per l’occasione mi ha affiancato Antonio Leotti, il quale mi ha fatto capire come si scrive una sceneggiatura. La scriviamo assieme e la presentiamo alla Fandango. Nasce il problema: chi lo dirige? Domenico Procacci ha risposto con una frase: il film è la visione di una persona sola. Quindi, nonostante un po’ di scetticismo ho fatto Radiofreccia.
Successivamente ho fatto Da zero a dieci, un film che ha mostrato i miei limiti come regista. Non sono riuscito a dirigere gli attori come avrei voluto. La lavorazione è stata difficile a causa del lutto per la scomparsa di mio padre. E ora sono qui, con Made in Italy.
A questo proposito: si può dire che il lutto sia al centro delle tue storie?
Sì, mi piace riflettere sulla morte in un’opera di fantasia perché fa riflettere sulla vita.
Made in Italy è un film fatto di ellissi, molte cose importanti avvengono in fuori campo. Possiamo leggere in questo la tua voglia di musical?
Sicuramente c’è la tentazione verso il musical. Le canzoni sono importanti per me. Il film inizia infatti come un musical. Il balletto iniziale è più una prova sportiva che di danza, volevo citare Tono Scatenato.
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Luciano Ligabue incontra il pubblico dell’Anteo Spazio Cinema di Milano – © Gabriele Lingiardi
Racconti da tempo storie di marginalità, ma prima di oggi mancava un personaggio femminile forte. In questo film abbiamo invece Sara interpretata da Kasia Smutniak.
Io credo che le brave persone siano raccontate troppo poco. Spesso si raccontano i cattivi. Io invece volevo raccontare questa classe sociale di persone per bene, l’inquietudine di Riko non è fatta di promesse sul futuro, ma di una routine che lo porta a invecchiare. Per questo motivo serve una donna forte che tenga insieme la famiglia, e l’ho trovata in Sara.
È quindi un film che difende la famiglia?
Sì, io credo nel dono dell’amicizia e della famiglia. Credo nelle radici, per questo vivo da 58 anni nella mia terra, come dice Pavese nel film, serve un Paese per potere trovare il piacere di partire.
Si ha spesso la sensazione di improvvisazione nella performance degli attori. Accorsi passa da momenti di tranquillità a rabbia assoluta, il finale è tutto in silenzio da parte sua. Come hai fatto a realizzare scene così complesse?
È stato essenziale l’aiuto degli attori, Accorsi e Kasia sono stati eccezionali. Voglio sottolineare che Riko, come Freccia, è una persona di azione. Quando entrambi decidono di confessarsi lo fanno attraverso uno strumento pubblico: Freccia lo fa ai microfoni di una radio, Riko alla TV. Se i personaggi sono riusciti è per la loro straordinaria interpretazione, che ancora oggi mi dà i brividi.
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Luciano Ligabue incontra il pubblico dell’Anteo Spazio Cinema di Milano – © Gabriele Lingiardi
Come nasce l’idea del film?
Il film nasce da un concept album, il che, se ci pensi, è già un idea folle. Fare un concept album in questo mercato musicale significa andare contro corrente. Dopo l’album abbiamo deciso di fare il film basandoci sui temi trattati nelle canzoni.
Cos’è per te la tua terra?
Io sono molto legato ai miei luoghi. Lungo la vita ti viene voglia di scappare, però io ho, nel mio Paese, il mio rifugio che permette di vivere la vita come piace a me. Io sono cresciuto negli anni 70, e in quel periodo Reggio era eccezionale, funzionava tutto, la cultura era gratis, sono cresciuto con genitori felici, per questo motivo mi sono legato a questa terra. Ho visto funzionare il concetto di famiglia e per questo lo voglio difendere.