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Questo il messaggio su Twitter che in un sabato sera di speranze calcistiche infrante ci ha gettato nello sconforto. È stato un fulmine a ciel sereno: Michael Cimino se n’è andato. L’avevamo visto la scorsa estate, in un pomeriggio che rimarrà scolpito nella nostra memoria. Era stato epico, divertente, sensibile, attento e senza freni. Il Michael Cimino divo capriccioso definito nelle colonne di gossip non era l’uomo che abbiamo incontrato a Locarno, colui che ci ha regalato ore che non scorderemo facilmente.
Rompendo le regole dell’etichetta non era salito in cattedra ma si era accomodato SULLA cattedra, con un sorriso fanciullesco, in barba al raffreddore (auto-inflitto rimanendo sotto una pioggia torrenziale pur di vedere il suo capolavoro, il Cacciatore, proiettato in Piazza Grande sino a notte fonda), aveva tenuto una masterclass senza eguali, senza limiti, senza fine. Caso più unico che raro in cui con lo scorrere dei minuti, l’audience, al posto di assottigliarsi, aumentava sino a diventare una folla, e non una massa di curiosi bensì un folto gruppo di ammiratori tra cui molti addetti ai lavori, mentre lui incalzava la conversazione senza alcuna fretta di interromperla.
Michael Cimino a Locarno 2015 - Foto di Vissia Menza
Michael Cimino al Festival del Film Locarno 2015 © Vissia Menza
Il racconto di quello splendido evento è convogliato nelle righe che trovate QUI, oggi invece ci tocca l’ingrato compito di scegliere come ricordarlo. Impossibile non agganciarci all’impeto, alla disponibilità e alla determinazione nel non tralasciare nessuno, emersi quel 10 agosto 2015. Grande onore quindi alla persona che a testa alta ha rievocato la propria strabiliante ascesa e la rovinosa caduta, ed è riuscita a regalarci un aneddoto per ognuno dei suoi film, soprattutto quelli che non andarono per il verso giusto. E grande onore al cineasta che non ha mai rinunciato alle sue idee, alle sue osservazioni, alla scrittura (a cui si dedicava ogni giorno).
Poco ci importa quindi del chiacchiericcio legato al suo aspetto e alla sua data di nascita (era il ‘39 o il ‘59? E se fosse stato il 52?), di sicuro era nato a New York, era laureato a Yale, era arrivato tardi dietro la macchina da presa (aveva trent’anni) e Clint Eastwood ebbe più di una responsabilità (con lui Cimino scrisse la sceneggiatura del suo primo film, Una calibro 20 per lo specialista). Il successo planetario lo ottenne già al secondo lungometraggio, quel Cacciatore che non eguagliò più. La sua terza fatica, I cancelli del cielo, comportò una colossale bancarotta, quella della United Artists. Fatto che non gli impedì di diventare un riferimento, di avere attori che volessero lavorare per lui, di andare avanti e diventare una pietra miliare della storia della settima arte, seppur spesso incompreso.
Era un uomo pieno di doti: aveva studiato architettura e pittura, ma riuscì ad eccellere in cinema e letteratura (scriveva romanzi, alcuni si trovano anche da noi). Il suo talento venne riabilitato tardi, troppo tardi. L’ultimo riconoscimento lo ricevette dieci mesi fa, era il Pardo d’onore Swisscom, e la cornice era quella suggestiva della Piazza Grande di Locarno 68. Oggi ci rendiamo conto di essere stati fortunati. Possiamo solo sperare che le uniche storie in primo piano da domani siano legate alla sua carriera. Tutto il resto non ha più senso. E ora c’è del vuoto in più intorno a noi.
Vissia Menza
Articolo in origine pubblicato su MaSeDomani.com