intervista luca pedretti
Lo scrittore Luca Pedretti
Abbiamo intervistato il vulcanico scrittore e produttore bolognese Luca Pedretti, autore di “Folklore”, per Epika Edizioni. Ecco cosa ci ha raccontato!

Buongiorno Luca! Come, quando nasce e con quali film la tua passione per il cinema horror?

Buongiorno Max. Già da questa prima domanda viene fuori la mia ambivalenza come autore. La mia passione per il cinema in generale, e soprattutto horror, nasce quando ero molto piccolo, e ha origini romantiche. Aiutavo spesso mia madre, brava massaia bolognese a far la pasta di casa. Erano gli anni in cui piccole tv private spesso trasmettevano gli allora classici dell’orrore. Mi ricordo una bellissima serata tra me e lei nella quale, su TeleSanterno, trasmisero in prima serata I racconti del Terrore di Corman e, subito dopo, Le Due Sorelle di De Palma. Il volto di Vincent Price e Peter Lorre nella celebre gara enologica si scolpì nella mia mente, creando una sensazione in bilico tra sicurezza famigliare e inquietudine verso quel genere di contenuti irrazionali, che tutt’ora cerco di narrare e soprattutto studiare.
Nei primi anni ’80 non c’erano le maglie censorie che attualmente relegano il genere horror nei passaggi televisivi, e presto si sarebbero diffusi i videonoleggi. Era quindi frequente che su TMC ad esempio, passassero in seconda serata film di prima o seconda visione come Zombie di Romero, Profondo Rosso o LaCasa di Raimi. Insomma, verso i 6/8 anni mi sono sparato dei filmini che all’epoca ci andavano giù pesante.  Poi nel mio paese divenne facile noleggiare e procacciarsi VHS. Il mio “videotecaio”, responsabile allora della cultura cinematografica di adulti e bambini della zona, non aveva difficoltà a darmi pellicole vietate ai minori. Da lì iniziai a vedermeli tutti quegli horror, ma non solo, a divorare tutto ciò che mi capitava a tiro. Credo di poter tranquillamente affermare di essere onnivoro a livello cinematografico.

Chi sono i tuoi scrittori horror preferiti?

Sicuramente e da grande ignorante di narrativa horror dico Edgar Allan Poe da un lato, ed Eraldo Baldini dall’altro. Il fatto è che io non sono un lettore particolarmente sviluppato di narrativa horror, fatico anche a concepirla perché per me il genere è troppo legato all’immagine nel senso materiale del termine, per vivere di descrizioni mentali. Per questo potrei parlarti meglio dei miei registi e autori horror preferiti, come Pupi Avati nei suoi horror padani, di cui Baldini è senz’altro un estensione letteraria. Come lettore invece leggo e preferisco soprattutto saggi e ricerche. Saggi prevalentemente antropologici, dell’occulto, di misteri, comunque di tutto ciò che cattura la mia attenzione e credo valga la pena raccontare.
Alcuni mesi fa ho pure speso una fortuna per acquistare un libro di magia antico. Sono infatti un “feticista” di libri, amo i libri antichi e credo che se fossi ricco ne sarei pieno. D’altro canto a King o tutti i grandi autori, preferisco per lo più gli Oltretomba ad esempio, fumetti erotico horror i cui disegni magari sono un po’ deludenti, ma che spesso propongono trame di un certo spessore e sono anche vere e proprie rivelazioni socio-culturali di un certo costume europeo. Quindi la mia passione letteraria nasce dalla lettura non tanto di romanzi o racconti, ma dalle oralità e dalle leggende, o di aneddoti e ricerche più o meno scientifiche. Se posso permettermi è questo il mio modo di essere classico e al tempo stesso “innovativo”.

Tra le tue prime collaborazioni nel campo dell’editoria c’è stata quella con “Epika Edizioni”. Ce ne puoi parlare?

Lorella Fontanelli, l’”editora” di Epika è prima di tutto un’amica, e anche una grandissima scrittrice che, se posso far polemica, vive nelle maglie di un sistema, quello italiano che definisco ambiguo per essere gentile e prudente (che non si sa mai). Epika è lei, una donna coraggiosa del mio paesello, che come me ha un sogno e le palle di seguirlo, pagando le sue illusioni senza nessun aiuto. Siamo due “Fitzcarraldi” in pratica, e quasi sempre, il Fitzcarraldo di ogni paese è in bilico tra balordaggine e genialità. Nella prima domanda parlavo della mia ambivalenza come autore. Infatti con Lorella di Epika ho debuttato non con un’opera di genere, ma con la silloge poetica, La chiamano Strada, un libro a metà tra poesia e canzone, dove semplicemente ho condiviso alcuni testi di un periodo della mia vita. Amo i cantautori e leggere poesie. Lorella è stata davvero gentile ad accogliermi tra i suoi autori e col tempo la collaborazione è continuata con alcuni miei racconti nelle sue antologie “Quando Capita…”. Sono raccolte a tema che stiamo presentando in tutta Emilia Romagna per ora, il cui ricavato viene devoluto ad Arquata del Tronto, comune colpito dal sisma del 2016.

Nel 2011 hai scritto la sceneggiatura, insieme al regista Gianluca Nanni, di un corto ambientato nella Seconda Guerra Mondiale. Di cosa parlava esattamente?

Ad ora C’è la guerra sulle stelle? è il mio unico prodotto girato con un discreto budget. Vorrei ringraziare ancora l’amico Gianluca Nanni per essersi fatto svenare insieme a me in quell’avventura che definirei a tratti surreale. Il corto onestamente ha qualche errore di gioventù, ma ne sono molto soddisfatto. Ha avuto la sua vita e ci siamo tolti qualche soddisfazione, per cui spero possa esserci presto l’occasione di tornare di nuovo sul set, in quanto credo sia veramente gratificante per un autore vedere rappresentato qualcosa scritto di suo pugno.

Sei stato attore e produttore del lungometraggio horror “La casa nel vento dei morti”. Che tipo di esperienza è stata?

Attore lo definirei un eufemismo… ho fatto un cameo. Produttore sì. L’esperienza del film di Campanini è stata molto formativa, vi era una bella atmosfera sul set. Francesco, Luca Magri (il protagonista) e noi tutti eravamo affiatati per cavare il sangue dalle rape come capita sempre nei film indipendenti. Purtroppo però non rientrerò mai dell’investimento e anzi, ad oggi non ho visto un solo centesimo. Il cinema è e secondo me deve essere, soprattutto industria, industria artistica, ma pur sempre un prodotto che dà un profitto.  Questo è il motivo per cui per ora, ho realizzato un solo corto nella mia carriera.

Nel 2015 hai vinto il ToHorror con la sceneggiatura “La festa dei morti”! Complimenti!

Ecco uno dei momenti più belli della mia carriera! Fu una vera sorpresa e anche una bella sbornia in compagnia di amici sinceri. I ragazzi del ToHorror, come spessissimo accade nei festival di genere, sono delle persone disponibili e squisite, ma al tempo stesso serie e appassionate. Perdonami se sono sempre un po’ amaro, ma credo che in Italia ci vorrebbero più premi di sceneggiatura legati al genere fantastico e soprattutto, sarebbe interessante se ci fossero delle conseguenze legate alla vincita di concorsi e premi. Con il Tohorror c’è stato sì il riconoscimento, ma ho ricevuto pochissime risposte alle mail in cui proponevo lo script. La storia comunque si ispira alle tradizioni popolari legate alla notte di Ognissanti in Italia, prima che Halloween ne cambiasse la prospettiva. In Italia basta fare pochi chilometri per far sì che spesso le usanze cambino e Ognissanti ha radici antichissime e differenti da regione a regione del paese, che come sempre, custodisce un corpus di tradizioni e leggende senza eguali.

Cosa ci puoi dire del progetto di fiction “Lombroso”, opzionato da Lucky Red, e poi purtroppo naufragato forse nel nulla?

Ho deciso di essere diplomatico e lo sarò sempre in questa intervista. Francamente non ho l’esperienza per dare giudizi o valutazioni “ufficiali”. Dico solo che Lombroso è un concept a cui avrei lavorato volentieri ma per me, dopo il premio del Fiction Lab nel 2016, non c’è stata possibilità di scrivere una sola riga alla revisione del concept. Il progetto in sé è comunque la dimostrazione che in Italia certe cose si pensano, si scrivono, piacciono, ma alla fine non si fanno. Spero quindi un giorno di avere un peso culturale e produttivo per poter realizzare qualcosa legato alla figura di Cesare Lombroso, personaggio ambiguo ma al tempo stesso affascinante. Anzi, anticipando qualcosina ho un soggettino nel pc che parla di lui, ed è anche molto fattibile perché ambientato oggigiorno…

Un altro riconoscimento, quello dell’Author’s day, è arrivato per la sceneggiatura di un lungometraggio thriller. Ci puoi dire come è andata?

Assieme al bravissimo Giustino Pennino, amico dai tempi del DAMS, abbiamo scritto “Un gioco da ragazzi”, un progetto di lungometraggio in cui riflettiamo sulla nostra generazione entrata negli “anta”. Il mood del film è un primo bilancio sulle promesse fatte in gioventù, sui costumi e le usanze che ci hanno condotti a diversi traguardi e sul senso di amicizia. E non ultimo un certo modo di essere cresciuti, tra cabinati di videogiochi e con molta meno tecnologia rispetto ai tempi attuali, per questo considero “Un gioco da ragazzi” un progetto intimo, ma non per questo personale.

Qualche anno fa hai fatto partire un progetto con il regista ferrarese Edo Tagliavini per un lungometraggio horror. Come sta proseguendo?

Il progetto s’intitola “Cattre, The Death Lullaby”. Prende liberamente spunto da Sud e Magia scritto dal celebre etnografo Ernesto De Martino. È una storia molto complessa che parla di tradizioni e superstizioni della Basilicata in un modo credo, non telefonato. Lo script ha ricevuto diversi apprezzamenti, su tutto l’interesse culturale e il contributo da parte del MIBACT, cosa non proprio automatica per un horror. Attualmente con i produttori stiamo cercando di chiudere il budget e ci sono anch’io come produttore, quindi speriamo di iniziare le riprese entro la metà del 2018. Edo è un regista formidabile, con una inventiva non comune e sono felice di averlo conosciuto e di collaborare con lui, su tutto vorrei sottolineare il fatto che non demorde mai ed è sempre entusiasta, con tantissima energia anche quando le cose non vanno proprio al cento per cento.

E ora arriviamo a “Folklore”. Ci racconti la genesi del progetto?

Eh… credo che la genesi di Folklore nasca da un lato dalle un po’ troppe delusioni professionali che sto vivendo in questi mesi, dall’altro nella voglia di fare quando si sente che i tempi sono maturi per un progetto. Prima ho detto che artisticamente mi sento ambivalente. Ebbene, anche con Folklore viene fuori una dicotomia del mio essere: da un lato la tradizione che già dal titolo lega questo progetto letterario, dall’altro la voglia di sperimentare un ibrido tra prosa e sceneggiatura a livello formale, dando alla scrittura i tempi e la visualità dello scrivere per cinema. Questa forma ibrida spero sarà accolta con interesse, come secondo me è interessante parlare delle creature delle nostre tradizioni: la Borda, le Anguane, il Lupercus ma anche carnevali arcaici e feste come i Serpari di Cocullo.
Davvero l’Italia ma non solo, l’Europa intera ha un grande fascino da raccontare e tramandare secondo me, senza scomodare al solito ed esclusivamente elfi, draghi e orchi. A Natale è uscito il secondo volumetto di Folklore, I Guerrieri del Buio, che ho voluto pubblicare sempre con Epika, proprio per sostenere e dar man forte al coraggio dell’editoria indipendente, ma anche perché Lorella Fontanelli è un editor eccezionale. Il terzo lo sto iniziando proprio in questi giorni e non tarderà ad uscire. Come una fiction televisiva, spero che per i lettori Folklore divenga un appuntamento da svelare lentamente, in attesa magari che qualche broadcaster rifletta sul potenziale audiovisivo del progetto.

Stai lavorando a qualche nuovo progetto editoriale in questo periodo?

Hai voglia! Ma concedimi di prenderla alla larga: a me scrivere piace sopra a ogni altra cosa. Lo faccio quasi come un vizio, quello di immaginare e inventare storie, perché mi piace raccontare e farlo al meglio delle mie possibilità. Quindi posso benissimo vivere la mia vita facendo qualcosa che mi piace senza nessun riconoscimento. Il mio grande difetto è che sono molto ingenuo politicamente e questo fa di me un uomo solo. Vorrei farti una piccola confessione: ho vissuto i miei ultimi due anni di vita nella disperata ricerca di fare della scrittura una professione, d’inserirmi a qualche livello nell’industria cinematografica come autore, per realizzare il più possibile e cercare denaro, mandando mail ovunque e in tanti altri modi. Sono stati gli anni più brutti della mia vita. Quindi dico al Diavolo il denaro e al Diavolo la politica, per me sono veleno. Sto bene a scrivere per il solo piacere di raccontare e continuerò a farlo come ho sempre fatto finché mi sembrerà di avere qualcosa da dire. Se nel frattempo qualcuno vorrà leggere qualcosa di mio può contattarmi quando vuole, sono facilmente reperibile. Io ci sono.
Per questo attualmente spazio parecchio dove mi porta il cuore, sto cercando di collocare un progetto per il centenario di una storia sconosciuta: la storia degli Arditi del Popolo e i loro fondatori, che a costo della vita realizzarono la prima resistenza rossa che contrastò il fascismo sul nascere, una storia interessantissima e volutamente occultata dalla storiografia italiana. Parallelamente ho un paio di progetti horror che ritengo abbiano buone potenzialità e che spero di avviare una volta che il progetto di Cattre mi darà dei responsi. E poi ho Folklore, che se andrà benino non è detto non affianchi con un progetto gemello, legato al Vaticano Occulto, un progetto dove ho raccolto molte conoscenze per passione e vorrei raccontare prima o poi. Non ultimo la speranza volge come fine, al tentativo di fondare una società di produzione che se tutto va come deve andare, divenga una sorta di “Blumhouse italiana” specializzata in sviluppo e produzione di progetti di genere fantastico usciti non solo dalla mia penna. Grazie Max!